L'avvocato dei populisti, non del popolo
Conte e il tentativo di scaricare sui tecnici la farsesca incapacità dei politici
Quando in conferenza stampa ha spiegato che alla fine i saldi della manovra saranno più bassi di quanto non fosse stato previsto all’inizio perché “erano stati commessi degli errori”, il presidente del Consiglio, il prof. avv. Giuseppe Conte, ha rivelato la sua definitiva trasformazione da avvocato del popolo in avvocato dei populisti. Attribuire colpe agli uffici tecnici, a quella “burocrazia dei numeretti” che in realtà in questi mesi ha salvato l’Italia dal costoso apprendistato di pasticcioni impenitenti come la sottosegretaria all’Economia Laura Castelli, non è infatti precisamente un atteggiamento di responsabilità.
Intendiamoci. Chi ha a cuore la tenuta dei conti pubblici, e in definitiva il destino del nostro paese nel consesso internazionale del mondo industrializzato ed evoluto, non può che essere rassicurato dal fatto che il governo del cosiddetto cambiamento abbia adesso innestato la retromarcia e ridotto il rapporto deficit/pil dal 2,4 al più ragionevole (benché strambo) 2,04. E infatti, alla fine, i saldi della manovra si sono adeguati a quanto sostenevano e predicavano da parecchi mesi l’Inps, la Banca d’Italia, l’ufficio parlamentare di Bilancio della Camera ed economisti di mezzo mondo accademico, non solo italiano.
Avessero ascoltato prima quello che gli veniva detto dai tecnici, i ragazzi al governo e il prof. Conte avrebbero certamente fatto risparmiare a tutti noi parecchi miliardi bruciati (tra la Borsa e il rendimento dei titoli di stato) con l’impennata dello spread. Ma ormai è andata così. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Se non fosse per quelle parole del prof. Conte sugli “errori” scaricati sulle spalle di una burocrazia ministeriale – i famosi “pezzi di merda del Mef”, come li chiama il portavoce di Conte, Rocco Casalino. Parole che consegnano forse per sempre il presidente del Consiglio al ruolo di difensore d’ufficio del populismo pasticcione e pericoloso che è l’unico titolare dello spettacolo tragicomico andato in scena nel teatro della politica economica degli ultimi sei mesi. Ne vale davvero la pena, presidente?