Perché la crisi Carige mette alle strette Salvini e Di Maio
Le difficoltà della banca sono già un problema politico di cui il governo non parla, per ora
Roma. C’è una crisi bancaria in corso nella Genova a guida centrodestra, nella città di Beppe Grillo, ma il governo Lega-M5s non ne parla. Banca Carige oggi riapre gli sportelli e torna agli scambi in Borsa – con un prezzo quasi azzerato e perdite dell’80 per cento da inizio anno – dopo la pausa natalizia in uno stato di inedita di difficoltà. Il 22 dicembre il primo socio Vittorio Malacalza s’è astenuto dal votare una ricapitalizzazione per 400 milioni di euro producendo il diniego dell’assemblea all’aumento. L’imprenditore piacentino, per la prima volta dal suo arrivo nel 2015, non ha voluto sostenere quella che sarebbe stata la terza iniezione di capitale di seguito rendendo così monco il piano di ristrutturazione dei manager da lui scelti, l’ad Fabio Innocenzi e il presidente Pietro Modiano. Due membri del cda, Lucrezia Reichlin e Raffaele Mincione, si sono dimessi per non assistere al declino. Ora il salvataggio del decimo istituto italiano è sotto monitoraggio della Banca centrale europea e il governo populista dovrà seguire gli effetti di una crisi di cui è in parte responsabile.
L’aumento di capitale serviva a migliorare i requisiti patrimoniali e a rimborsare un bond subordinato e convertibile in azioni da 320 milioni sottoscritto a novembre dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, che coinvolge 146 istituti, arrivato in soccorso per un probabile fallimento dell’emissione sul mercato. Un aiuto volontario del settore bancario è stato necessario perché le condizioni per le banche italiane erano cambiate in peggio proprio per l’incremento del rischio politico determinato dal governo gialloverde, con uno spread Btp-Bund più alto d’Europa, che a ricasco ha aumentato i costi di finanziamento per gli istituti. Se Carige fosse andata sul mercato avrebbe probabilmente dovuto soddisfare un rendimento a due cifre, e non è detto che avrebbe trovato compratori privati. Ora Carige dovrà comunque pagare oneri maggiorati al Fondo interbancario dato che, senza aumento, il tasso del bond sale dal 13 al 16 per cento. Invero l’aumento non avrebbe risolto problemi strutturali: la banca opera con un rapporto costo-reddito del 90 per cento, ovvero troppo alto, indice di bassa efficienza. Nelle prossime settimane sarà la Vigilanza della Banca centrale europea a discutere un piano di intervento con Innocenzi e Modiano. Ma a colpire gli osservatori è il silenzio sulla vicenda da parte di esponenti politici, da Matteo Salvini a Luigi Di Maio, che non solo hanno contribuito con incaute dichiarazioni a mettere sotto pressione l’industria bancaria – passata in sei mesi da una situazione in via di risanamento a una di difficoltà – ma che in anni passati, e per campagna elettorale, non mancavano di interessarsi a situazioni a rischio da Mps, con comizi di piazza a Siena, alla piccola Etruria, al centro di una inchiesta parlamentare tanto rumorosa quanto inconcludente e con poteri sovrapposti all’autorità giudiziaria. Il ministro del Lavoro, Di Maio, si prodiga per costruire tavoli di confronto per le più piccole crisi aziendali, da Bekaert a Pernigotti, o per i lavoratori occasionali, i “rider”. Ma Carige che ha 4.300 dipendenti e (ancora) una clientela di risparmiatori nella città portuale più importante del paese, isolata a quattro mesi crollo del ponte Morandi, non sembra tra le sue priorità.
E’ stato ieri il sindacato Fabi a dire che “giunti a questo punto, il governo non può continuare a stare alla finestra e dovrebbe intervenire, in questa prima fase, aprendo un tavolo di confronto con azienda, sindacati dei lavoratori, associazioni dei consumatori, amministrazione comunale di Genova e presidenza della regione Liguria” governate dal centrodestra e di interesse della lega salviniana. “C’è incompetenza e disinteresse verso il sistema finanziario, forse non hanno risorse intellettuali da usare – dice Mario Comana docente di Tecnica Bancaria all’Università Luiss – o erano impegnate nella farsesca battaglia con l’Europa per la legge di Bilancio, e al credito non ci hanno pensato proprio”. Le prospettive per Carige, ragiona Comana, possono essere quelle di una ricapitalizzazione precauzionale a carico dello stato, infliggendo anche perdite agli obbligazionisti, come è stato per Mps nel 2016, o di un bail-in pieno. Una soluzione “Mps bis”, con un intervento dello stato, per ipotesi con 3,5 miliardi di denaro pubblico, sarebbe politicamente controversa (oltre che da trattare, per un eventuale piano di rientro, con una Commissione europea avversa all’Italia sovranista). E poi: come può il governo gialloverde fare digerire al suo elettorato un “regalo a banchieri e speculatori” come ha sempre definito gli interventi per le banche?
Infine, c’è l’ipotesi estrema di un bail-in che sarebbe un inedito perché – a differenza delle quattro banche dell’Italia centrale e di Mps – per la prima volta non avrebbe attenuanti e potrebbe colpire direttamente azionisti e obbligazionisti e così alleviare l’onere a un eventuale “cavaliere bianco” (in pochi si aspettano un altro intervento con la solita Intesa che aveva già rilevato Veneto Banca e Popolare di Vicenza, semmai quello di un fondo). Sarebbe interessante sapere come verrebbe comunicato il bail-in da un governo che ha sempre avversato quella soluzione, con appunti molto critici dell’attuale ministro per gli Affari europei Paolo Savona. Il modus operandi finora è stato quello di rimborsare investitori incauti con interventi ex post (1,5 miliardi sono in manovra per gli azionisti delle banche venete). Con Carige è invece il caso di intervenire per tempo. Se di tempo ce n’è.