Firmiamo una cosa su cui nessuno è d'accordo
Nemmeno all’interno della Lega hanno chiaro come trattare con la Cina
A dieci giorni dalla visita di stato del presidente cinese Xi Jinping in Italia, c’è solo una certezza che riguarda l’eventuale firma di un memorandum d’intesa tra Roma e Pechino per l’adesione dell’Italia alla Via della Seta: la confusione. L’America ha preso una posizione ufficiale, contraria all’ingresso del primo paese del G7 al mastodontico piano d’influenza strategica di Pechino, mentre sui media cinesi l’Italia si è già trasformata in un argomento di propaganda per poter dire a Washington: fatevi gli affari vostri. E non può che essere così, dato che nessuno, al governo, ha chiaro il da farsi su una delle questioni più importanti della politica estera contemporanea, e i dissidi non sono solo tra le due formazioni ma anche all’interno delle stesse.
Ieri in un’intervista al Messaggero, il leader della Lega Matteo Salvini ha detto: “Il trattato con la Cina va maneggiato con molta attenzione […]. Bisogna pensarci non una volta ma dieci, venti, trenta volte prima di fare una cosa del genere”. Lo stesso giorno, in un’intervista alla Verità, il viceministro delle Infrastrutture e Trasporti, il leghista Edoardo Rixi, ha detto che invece no, il memorandum si firmerà, “a meno che non ci sa una netta posizione ostativa degli Stati Uniti, che devono spiegare”. Sempre in quota Lega, il sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi a Start Magazine ha detto di non aver visto il testo dell’accordo, e mentre il leghista sottosegretario per lo Sviluppo economico Michele Geraci – il curatore più attivo dei rapporti Italia-Cina – dice che in fondo si tratta di un accordo commerciale, e non politico, Picchi sostiene invece che “ogni decisione di politica commerciale è una decisione di politica estera”.
E quindi, da che parte stiamo? Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sabato ha confermato che la firma ci sarà, prendendo forse un’iniziativa personale, visto che agli Esteri, a sentire Picchi, la bozza non è neanche arrivata, bloccata evidentemente sulle scrivanie del Mise (alla faccia della trasparenza sui trattati tanto sbandierata dai Cinque stelle prima che arrivassero al governo). Alla fine resta un fatto: nelle 40 pagine del contratto di governo la Cina non è mai menzionata.