Oltre la corte a Mr. Ping
Il rigassificatore di Livorno mette alla prova la difesa degli interessi nazionali
Indaffarato a rassicurare i partner europei sull’ingerenza cinese nel settore delle infrastrutture per le telecomunicazioni, il governo non ha ancora preso in mano un altro dossier in tema di energia di cui è giunta notizia negli ultimi giorni. Il rigassificatore Gas naturale liquefatto (Gnl) di Livorno è al centro di una trattativa tra un fondo di investimenti australiano e la società di gestione Olt, partecipata dall’utility italiana Iren e dai tedeschi Uniper. Uniper sarebbe pronta a cedere la sua quota del 48,24 per cento a First State Investment (Fs) che una volta entrato in affari con Olt potrebbe rilevare anche le azioni di Iren. L’utility si è infatti assicurata per contratto il diritto di co-vendita e in più occasioni ha ribadito di non considerare il rigassificatore un asset strategico, pur escludendo fino a questo momento la cessione.
L’impianto però costituisce un’opera strategica per la sicurezza energetica nazionale perché serve a ricevere le navi cariche di gas naturale liquefatto e dall’inizio delle sue attività commerciali ha visto approdare metaniere da dieci paesi diversi, contribuendo alla diversificazione dell’approvvigionamento. D’altra parte, investire sul Gnl si è rivelato un affare, con le nuove rotte del gas in fase di sviluppo e la necessità di utilizzare fonti meno inquinanti. Dal mese scorso il terminal lavora a pieno regime e la società di gestione ha da poco annunciato di avere chiesto le autorizzazioni per offrire nuovi servizi per l’uso del Gnl nel trasporto pesante e marittimo. L’offerta di Fs sarebbe di circa 800 milioni di euro per l’intero capitale darebbe un’occasione a Iren per massimizzare il suo investimento. Il governo si è accorto del caso. La Lega (attraverso Guglielmo Picchi) e il M5s (con Andrea Cioffi) hanno detto di fare attenzione agli interessi nazionali. Nulla più. Se gli interessi nazionali vengono tutelati come si fa con Mr. Ping, stendendo tappeti rossi a investitori extraeuropei, le dichiarazioni di intenti non bastano.