Foto Imgoeconomica

La sfiducia in Italia spiegata con le banche

Redazione

La parziale cessione di Fineco suggerisce uno smarcamento dal rischio sovrano

La vendita da parte di Unicredit del 17 per cento di Fineco, la metà di quanto aveva in portafoglio, non ha scaldato la Borsa piatta del listino principale Ftse Mib, tra spread in ulteriore rialzo e incertezze sui dazi Stati Uniti-Cina. Il titolo Finecobank ha perso lo 0,68 per cento, normale per la parte venduta, mentre Unicredit ha ceduto lo 0,12, un po’ meno normale per chi incassa. Il quesito che si sono posti gli investitori è evidente: il miliardo ricavato dalla banca di Jean Pierre Mustier serve a fare cassa – magari rafforzando i coefficienti patrimoniali in vista di una ulteriore stretta sui Btp posseduti, o più ancora di un’altra svalutazione dei titoli pubblici italiani – oppure per finanziare diversificazioni in Europa e altrove? L’ad di Unicredit ha incluso entrambe le opzioni (rafforzamento patrimoniale, senza citare i Btp; ed espansione all’estero), rinviando i dettagli al piano strategico 2020-2023 che sarà illustrato il 3 dicembre a Londra. Le ambizioni di Unicredit per i mercati stranieri sono note: l’interesse per Commerzbank c’era nonostante l’avversione dell’establishment tedesco. Poi resta sempre possibile la partnership con Société Générale, che con una Unicredit rafforzata non sarebbe più un salvataggio da parte francese come appariva due anni fa. A questo scenario positivo si contrappone quello meramente difensivo: Unicredit ha già ceduto il maggiore gioiello, la società di risparmio gestito Pioneer, una rinuncia quella sì dolorosa ma indispensabile per il successivo aumento di capitale da 13 miliardi del febbraio 2017. Vendere ancora, sia pure un asset definito non strategico come Fineco, può far pensare male. Non certo sullo stato di salute di Unicredit, che è risanata, ma per l’incertezza nella quale i banchieri italiani si trovano a operare: i titoli di stato in portafoglio scottano molto più di un anno fa; i consumi, gli investimenti e gli accordi finanziari in calo in Italia riducono le intermediazioni; lo stesso clima intorno alle banche non è dei migliori. Questi sono problemi prevalentemente politici. E sarebbero anche un motivo, per un colosso con ambizioni europee come Unicredit, per guardare oltrefrontiera.

Di più su questi argomenti: