Il caso Di Maio e i doveri della Consob
Il silenzio di Savona su un governo irresponsabile con le aziende quotate
Chissà se nella caverna di Socrate e Platone si è sentito il boato, o anche solo una flebile eco, delle dichiarazioni del ministro Luigi Di Maio contro Atlantia. Chissà se il neo presidente della Consob Paolo Savona attiverà gli annunciati strumenti di “intelligenza artificiale” per verificare se i messaggi a mercati aperti diffusi dall’intelligenza naturale del leader del M5s hanno avuto un impatto anomalo su un titolo quotato, tanto da rientrare nelle ipotesi di manipolazione di mercato (che è causata dalla diffusione di notizie false o da altri artifici idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari).
L’attacco di Di Maio è completamente sconsiderato, in primo luogo perché è venuto a mercati aperti. In secondo luogo perché indirizzato ad Atlantia, che non è la società titolare della concessione autostradale di cui è stata annunciata la revoca, ma una multinazionale che opera in tutto il mondo che controlla Aspi, ma da cui è giuridicamente separata. In terzo luogo perché Di Maio non si è limitato ad annunciare una decisione politica sulla concessione, ma ha dato un giudizio su un’azienda – e quindi su un titolo – definendola “decotta”. In quarto luogo ha detto, da vicepremier, che Atlantia sta per fallire in forza di un procedimento amministrativo che non si è ancora concluso. E questo vuol dire che da vertice politico dell’apparato amministrativo o è a conoscenza di informazioni non pubbliche, o sta cercando di influenzare l’esito di un procedimento.
Insomma, c’è materiale per l’Authority, che in ogni caso dovrebbe esprimersi. L’ex presidente Consob Mario Nava, in seguito alle dichiarazioni del leghista Claudio Borghi che causarono un crollo del titolo Mps, scrisse una nota per invitare “chi svolge funzioni pubbliche” a “particolare cautela” quando esprime opinioni su società quotate e di farlo “a mercati chiusi” per “minimizzare l’impatto”. Probabilmente Savona nutrirà un certo imbarazzo a dover rimproverare o sanzionare il suo ex vicepremier e collega di governo. Ma questo è proprio uno dei motivi per cui ai vertici delle Autorità di vigilanza non dovrebbe sedere chi si è appena alzato da una poltrona del Consiglio dei ministri.