Germania chiama Francoforte
Il malessere dell’industria tedesca spinge Draghi (e Lagarde) a stimoli rapidi
Gli ordinativi dell’industria tedesca sono calati peggio delle attese (meno 2,2 per cento a maggio rispetto a un calo stimato dello 0,3) e dimostrano che la crisi produttiva della Germania può trasformarsi da fisiologica a patologica e, combinata con le difficoltà delle banche, può mettere a repentaglio un intero modello che durante la crisi ha prosperato sulle esportazioni. Tutto ciò ovviamente ci riguarda direttamente, trattandosi del nostro primo partner commerciale; ma anche indirettamente per le misure di stimolo che dovrà prendere la Banca centrale europea, forse ancora prima che vi si installi Christine Lagarde, negli ultimi mesi di presidenza di Mario Draghi. Avere rinviato a tempo indefinito il rialzo dei tassi e preannunciato un possibile nuovo ricorso a un Quantitative easing bis si è mostrato il classico azzardo lungimirante. Che cosa sarebbe accaduto se si fosse dato corso all’aumento dei tassi che proprio la Bundesbank voleva questa estate? Del soccorso monetario non beneficeranno solo i grandi gruppi tedeschi per finanziare la ristrutturazione più profonda degli ultimi vent’anni.
Vi faranno ricorso anche le imprese e le banche italiane. Poi però l’Italia non può rinviare una nuova strategia del modello produttivo. Dare alla Germania la colpa della mancata crescita non regge più, visto che altri paesi europei crescono nonostante il vincolo tedesco, Spagna e Francia e blocco dell’est in testa. La cosa più a portata di mano sono gli investimenti interni, che vanno sbloccati sul serio, Ilva compresa. I privati devono certamente riorientare l’export, e gli eccellenti risultati della farmaceutica (che ormai supera per produzione, esportazioni e addetti proprio la Germania) sono un modello. Va combattuto il nazionalismo sovranista, compreso quello altrui, i dazi, le barriere ideologiche, come l’ostilità terzomondista verso i grandi accordi nella chimica, come il blocco delle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali e delle farmacie. Se invece vogliamo continuare a dileggiare la Lagarde e ad adagiarci sull’alibi tedesco, prepariamoci a una terza grande crisi. Sapendo che in Germania la disoccupazione è meno del 4 per cento, noi festeggiamo un decimale sotto il dieci.