Stiglitz propone un nuovo contratto sociale per riformare il capitalismo
"Solo l'intervento dello stato può correggere le inefficienze del mercato", dice lo studioso americano all'Economist
Il premio Nobel Joseph Stiglitz ha proposto “un nuovo contratto sociale” per il ventunesimo secolo nell’ambito dell’iniziativa Open Future promossa dall’Economist attraverso una serie di analisi e dibattiti sui grandi temi della nostra epoca. Stiglitz è uno degli economisti di riferimento dei socialdemocratici americani ed europei: sostiene da tempo una maggiore redistribuzione della ricchezza in occidente, ed è uno dei critici più feroci dell’euro, da lui considerato un progetto neoliberista. L’Economist gli chiede se la critica della destra populista al capitalismo – che lo giudica un sistema truccato ed inefficiente – non contenga un fondo di verità. Stiglitz è d’accordo, sostiene che i figli dei ricchi hanno maggiori opportunità e questo gli consente di perpetuare i loro privilegi. È un problema strutturale, spiega l’economista, che finisce per bloccare l’ascensore sociale: “Troppo spesso chi diventa ricco non aumenta le dimensioni della torta economica del suo paese, ma ruba ciò che apparteneva ad altri”.
Stiglitz rimpiange le “riforme progressiste del secolo scorso che hanno creato la prima middle class americana”. Poi è arrivato Reagan, e si è affermata una nuova ideologia, che secondo l'accademico ha generato enormi diseguaglianze. "Oggi lasciamo che tutto sia gestito dal mercato nella certezza che l’economia crescerà, e tutti vivranno meglio. Invece la crescita è rallentata, i salari sono rimasti bloccati e anche alcuni politici del Partito democratico sono colpevoli di aver passivamente accettato questa ideologia".
La soluzione, spiega Stiglitz, è quella di creare “un nuovo contratto sociale” per ottenere un equilibrio “tra il mercato, lo stato e la società civile basato su quello che chiamo ‘un capitalismo progressista’”. Questo sistema subordina “il potere dei mercati e dell’imprenditoria al miglioramento generale della società”. Per Stiglitz questo è il momento giusto per lanciare una sorta di controrivoluzione: la società americana intende “restaurare la vera democrazia e limitare il potere dei soldi nella nostra politica”. Il contratto sociale di Stiglitz prevede di “riscrivere le regole dell’economia per limitare il potere dei giganti tecnologici e finanziari e per assicurare che la globalizzazione funzioni per l’americano medio, e non solo per le grandi aziende”. Questo programma prevede alcune delle proposte più simboliche della sinistra, come “l’aumento degli investimenti statali nella tecnologia, nell’istruzione e nelle infrastrutture”, oltre alla “creazione di una green economy” per fronteggiare la minaccia dei cambiamenti climatici.
Joseph Stiglitz con Massimo D'Alema e Mario Monti a un convegno del 2012
Quando il giornalista chiede se lo statalismo non rischia di creare storture e inefficienze al sistema economico, Stiglitz risponde che “tutte le istituzioni umane sono fallibili, sia quelle pubbliche sia quelle private”. Tuttavia, aggiunge l’economista, “ci sono molte circostanze in cui il ruolo dello stato ha avuto un impatto positivo, anche in America. Ad esempio l’assicurazione sanitaria ha diminuito i costi e offerto un servizio migliore rispetto alle aziende private”.
A margine dell'intervista, l'Economist pubblica un estratto dell'ultimo libro di Stiglitz, People, Power and Profits. Progressive Capitalism for an age of discontent. L'economista spiega i motivi per cui al giorno d'oggi il mercato non è più in grado di soddisfare la maggioranza dei cittadini. “La ragione è semplice – scrive Stiglitz –. Chi perde il proprio posto di lavoro ha bisogno del sostegno dello stato. Può trasferirsi laddove ci sono opportunità, ma il prezzo delle case in questi luoghi tende a essere molto alto. I disoccupati potrebbero non avere le risorse per seguire dei corsi di formazione e le banche generalmente gli prestano i soldi a un tasso di interesse molto alto”.
Completata la diagnosi, Stiglitz offre una possibile cura. Il governo deve facilitare la transizione attraverso due strumenti: le politiche attive del lavoro, che aiutano i disoccupati a trovare una collocazione, e le politiche industriali, che stimolano la creazione di nuove imprese. Nei paesi scandinavi queste strategie hanno funzionato: molti lavori sono diventati obsoleti, ma i disoccupati hanno trovato una nuova collocazione grazie agli incentivi statali. Infine, Stiglitz aggiunge che il governo non deve investire solo nei grandi centri urbani, ma deve puntare a fare crescere le aree meno sviluppate per ottenere uno sviluppo omogeneo. L'obiettivo di fondo, conclude l'economista, è quello di garantire una vita agevole ("a middle class life") a tutti i cittadini, molti dei quali oggi vivono in povertà. "Anche le famiglie con un lavoro dignitoso non riescono a vivere adeguatamente una volta andate in pensione, o non possono permettersi di mandare i propri figli all'università".