Liberi rider in libero stato. Così Di Maio ha messo le catene alle app
Aver voluto rendere i fattorini dei lavoratori dipendenti per decreto infligge un colpo a un settore nascente
Uno strano destino segna la regolamentazione dei rider nel nostro paese: essa fu la prima promessa fatta dal governo Conte 1 e l’ultima mantenuta con l’adozione del Decreto “Lavoro e crisi industriali”, la cui conversione rappresenta la prima sfida della nuova maggioranza giallorossa. Gli obiettivi sono desiderabili, ma il rischio è che gli effetti siano opposti a quelli voluti. Il provvedimento, infatti, interviene sotto due aspetti: in primo luogo disciplina il compenso orario dei fattorini, stabilendo che la parte fissa della retribuzione debba essere prevalente rispetto a quella variabile; secondariamente, impone alle piattaforme di assicurare i lavoratori con l’Inail. Con quali conseguenze?
Per rispondere, nell’ambito di un progetto dell’Istituto Bruno Leoni che sarà pubblicato domani, abbiamo raccolto diversi dati presso le piattaforme di food delivery aderenti ad Assodelivery, che congiuntamente occupano oltre 14.000 rider su un totale di circa 20.000. In tal modo abbiamo potuto tracciare un identikit dei fattorini e avanzare alcune ipotesi sulle conseguenze del Decreto. In media, i rider ricevono oggi un salario orario nel range 7-11 euro, a seconda del momento in cui lavorano (ore di picco o fuori picco). Sebbene ciascuna piattaforma abbia regole diverse – alcune prevedono una remunerazione fissa mentre altre pagano unicamente le consegne effettuate, e differiscono nella presenza di bonus per il meteo avverso, il numero di consegne, le distanze percorse, ecc. – tutte consentono ai rider di scegliere in quali fasce orarie rendersi disponibili e se accettare o meno i singoli incarichi. Mediamente i fattorini effettuano 1,4-2,3 consegne all’ora (anche in questo caso, dipende se si tratta di ore di picco), sono molto giovani (26,6 anni in media) e affiancano questa attività ad altre principali (il 48 per cento sono studenti e il 30 per cento hanno un’altra occupazione). Gli stranieri sono circa un terzo del totale. In genere, la permanenza in servizio è limitata: oltre il 60 per cento non supera i sei mesi. Molti rider lavorano con più di una piattaforma, anche nelle medesime fasce orarie. Tutte le piattaforme offrono una qualche copertura assicurativa contro il rischio di infortuni.
Il modello di business delle app si fonda proprio sull’estrema flessibilità delle “regole di ingaggio” dei rider e sulla differenziazione nel modo in cui essi vengono remunerati. A differenza di un datore di lavoro tradizionale, una app di food delivery non fornisce un servizio di consegna del cibo, quanto piuttosto di intermediazione tra i tre versanti del mercato: il ristorante, il cliente e, appunto, il fattorino. Per questo, essa deve mantenere i suoi costi sufficientemente bassi da non scoraggiare i consumatori per il ricarico eccessivo, e al tempo stesso risultare attrattiva perché il suo successo dipende principalmente da quanto estesa e capillare è la rete dei rider. In un simile contesto, le norme contenute nel decreto rischiano di produrre due effetti: da un lato costringere le piattaforme ad adottare schemi di remunerazione pressoché identici, limitando la loro possibilità di innovare anche commercialmente; dall’altro, calmierare il compenso dei fattorini più intraprendenti. A maggior ragione questo accadrebbe se fossero prese in considerazione misure ancora più draconiane, come il divieto assoluto di cottimo che probabilmente il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, e il relatore del provvedimento al Senato, Gianni Girotto, troveranno tra le proposte emendative.
Il modello di business delle app si fonda sull’estrema flessibilità delle “regole di ingaggio” dei rider e sulla differenziazione nel modo in cui essi vengono remunerati. Il decreto by Di Maio rischia di limitare la concorrenza tra piattaforme e di disincentivare i fattorini più intraprendenti. Un report Ibl
Per capirne le ragioni, è sufficiente fare un esperimento mentale. Assumiamo che venga stabilito un minimo orario di 7 euro netti, in linea col contratto nazionale della logistica: di questi, 5 andrebbero intesi come minimo garantito (a patto che il rider effettui almeno una consegna), mentre ogni viaggio aggiuntivo sarebbe pagato circa due euro. Poiché la parte variabile non può essere superiore a quella fissa, ne segue che un fattorino – se il decreto fosse confermato – potrebbe guadagnare al massimo 10 euro. Tale somma va confrontata con quello che i rider prendono oggi. Il decreto conviene a quanti effettuano una sola consegna (che attualmente portano a casa 3,9-5,5 euro), può rivelarsi insoddisfacente con due consegne orarie (7,8-11,0 euro) e diventa gravemente penalizzante per quei fattorini che compiano tre viaggi nella stessa ora (11,8-16,0 euro) o più. Il paradosso, dunque, è che le nuove regole colpirebbero soprattutto i più attivi, spingendoli a impegnarsi di meno o a frazionare la loro collaborazione con diverse piattaforme. E’ proprio questa consapevolezza – cioè quella di veder peggiorare il proprio reddito o le condizioni di lavoro – che ha spinto quasi seicento fattorini a firmare un appello contro l’ingessamento del mercato.
Anche dal punto di vista della tutela contro gli infortuni sul lavoro, la scelta operata è discutibile. In questo caso, il principio non è sbagliato: le mansioni dei fattorini sono particolarmente rischiose. Basti dire che gli incidenti stradali rappresentano il 15 per cento di tutti gli infortuni sul lavoro, ma il 45 per cento di quelli mortali. Il problema è che la logica dell’Inail – che è per molti versi obsoleta in generale – è del tutto fuori luogo in questo caso. L’Inail non offre un servizio di assicurazione in senso stretto: infatti, il premio pagato dalle imprese non riflette realmente il rischio assicurato, ma risponde a criteri di mutualità. Quindi, dal punto di vista dell’impresa, la tariffa equivale a un balzello, ma non ha un valore segnaletico. Al contrario, sarebbe assai più utile definire il contenuto minimo delle polizze – sul modello RC Auto – e poi lasciare alle piattaforme il compito di reperire una copertura adeguata sul mercato. In tal modo, per ridurre i costi, le piattaforme avrebbero un incentivo concreto a migliorare le condizioni di sicurezza per i rider, e le compagnie assicurative si troverebbero a competere per sviluppare il prodotto migliore.
In definitiva, il decreto muove da un presupposto sbagliato: cioè che i rider appartengano alla famiglia dei lavoratori dipendenti, e che debbano pertanto essere ricondotti quanto più possibile alla relativa disciplina. Al contrario, i fattorini hanno più aspetti in comune con gli autonomi e soprattutto si percepiscono come tali, quanto meno se guardiamo all’importanza che assegnano alla flessibilità del loro mestiere. Imporre vincoli eccessivi (sul salario) o trasferire senza alcuna correzione le regole sulla sicurezza rischia di penalizzare il settore senza offrire alcun vantaggio concreto ai lavoratori. Come in molti altri casi, le buone intenzioni sono forse necessarie, ma certo non sufficienti a disegnare una policy efficace.