L'ultima medaglia di Draghi in Bce
Dall’Italia alla Grecia gli agenti destabilizzatori dell’euro si sono ritirati
Nell’ultimo direttivo da presidente della Banca centrale europea, durante la conferenza stampa, Mario Draghi ha distillato negli ultimi minuti il succo del suo mandato. Lo ha fatto rispondendo a chi gli ha ricordato una frase di Jörg Asmussen, già rappresentante tedesco nel board della Bce, pronunciata a Milano nel 2013: “Il destino dell’Europa non si deciderà a Parigi o Berlino, ma a Roma”. All’epoca l’Italia era stretta tra recessione, austerity di Mario Monti e dubbi di insolvenza del debito; e si moltiplicavano in politica, nella classe dirigente e nell’opinione pubblica le tentazioni di uscita dall’euro. “Ora – ha detto Draghi – non c’è più nessuno in Italia che consideri la moneta unica reversibile”. Il che è ancora più vero dopo che Matteo Salvini, sul Foglio, ha abbandonato la linea no euro (sempre che non si smentisca ancora). Egualmente – derogando dall’understatement su meriti e demeriti, nemici e amici nei suoi otto anni, così come sul suo eventuale futuro al Quirinale (“chiedete a mia moglie, solo lei sa che cosa farò”) – Draghi ha dedicato una menzione speciale alla Grecia, tornata sui mercati con titoli pubblici a tassi negativi: “Un grande successo. Il cui merito va alle istituzioni europee ma soprattutto ai greci, che hanno affrontato duri sacrifici per restare nella nostra comunità”. Per la verità ci fu il referendum consultivo del 2015 vinto dal no alla Troika e coraggiosamente ignorato dal governo di Alexis Tsipras. Certo, poco prima Draghi aveva detto che “solo gli storici possono cambiare la storia”. Ma la storia oggi è che in un’Europa politicamente divisa, e ancora alle prese con bassa crescita e bassa inflazione, il vero fattore di coesione è proprio l’euro. Mario Draghi lo sa benissimo, pur glissando sulla sua “legacy”, il lascito a Christine Lagarde “che non ha bisogno di consigli”. Eppure scandisce: “Nelle banche centrali la comunicazione è cruciale, abbiamo il dovere di essere chiari perché da noi dipende il destino di molti, ma dobbiamo misurare le parole con platee più ampie per non scivolare nel reame della politica”. Un ottimo consiglio non solo a Lagarde ma a banchieri, economisti e agli stessi politici.