Michael Manley, ad di Fca (foto La Presse)

I conti in tasca alla fusione Fca-Psa

Redazione

Comau condivisa coi francesi. I dividendi di Exor. Bilanci di un accordo

L’accordo di fusione annunciato ieri mattina da Fca e Peugeot ricalca a grandi linee l’intesa comunicata a metà ottobre, ma alcuni cambiamenti sono stati apportati e riflettono probabilmente sia l’evoluzione dei rapporti di forza tra le due case automobilistiche sia la volontà di sottrarre il progetto all’esposizione di un rischio geopolitico. Come hanno messo in evidenza quasi tutti gli analisti che stanno passando al setaccio l’operazione, una modifica rilevante riguarda Comau, l’azienda italiana leader nell’automazione industriale. Ebbene, Comau sarà scorporata da Fca e posta all’interno del perimetro del nuovo gruppo, con sede in Olanda e quotato a Milano, Parigi e New York. Questo vuol dire che il valore dell’azienda di Grugliasco (Torino) – che secondo Equita vale poco meno di 1 miliardo, cioè quattro volte la stima di 250 milioni di euro circolata in un primo momento – non verrà distribuito tra i soci del gruppo Fca come era previsto, ma sarà condiviso con i francesi. Se questo cambiamento rappresenti il prezzo pagato da Fca per la maggiore rischiosità assunta in seguito alla causa di General Motors e alla maxi richiesta del fisco italiano, difficile dirlo. Resta il fatto che secondo gli analisti diminuisce leggermente il premio che Fca riceve nell’affare della fusione. E’ anche vero, però, che Fiat Chrysler beneficerà complessivamente di un dividendo di 6,6 miliardi. Secondo i nuovi accordi, infatti, alla cedola straordinaria di 5,5 miliardi se ne aggiunge una ordinaria per l’anno 2019 di 1,1 miliardi (analogo importo se lo spartiranno gli azionisti di Psa). A conti fatti, la sola Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli, porterà a casa circa 2 miliardi grazie al matrimonio con la casa d’oltralpe. Un’aggregazione che passa sotto la lente d’ingrandimento degli Stati Uniti per la presenza nel capitale del quarto produttore d’auto del mondo del gruppo cinese Dongfeng. Per questo, le parti hanno convenuto che i cinesi avranno una quota del 4,5 per cento e non del 5,9 e, quello che più conta, non siederanno nel consiglio di amministrazione.

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