Roberto Rustichelli (foto LaPresse)

L'Antitrust parla di politica: un anno bellissimo, ma non per la concorrenza

Carlo Stagnaro

Il Garante parla di competizione solo per lamentarsi che gli altri paesi Ue non tassano abbastanza

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (per brevità chiamata Antitrust) cerca un ruolo sempre più politico. Dopo aver dedicato al tema della concorrenza fiscale all’interno dell’Unione europea la sua prima relazione annuale, il presidente Roberto Rustichelli ha affidato riflessioni analoghe al Corriere della sera di domenica in occasione del preconsuntivo 2019. “Simili politiche incidono sulla possibilità dei paesi di crescere”, ha detto. “Basti ricordare che negli ultimi cinque anni il prodotto interno lordo italiano è cresciuto solo del 5 per cento, mentre il pil dell’Irlanda del 65 per cento, del Lussemburgo del 16 per cento e dell’Olanda del 12 per cento”.

  

 

La situazione, come si dice, è più complessa. E’ probabilmente vero che i dati sul pil di queste nazioni risentono anche delle scelte di localizzazione delle multinazionali: è il caso del boom irlandese nel 2015 (più 26 per cento in un solo anno). Ma ciò rivela, al massimo, la difficoltà degli strumenti statistici a misurare correttamente il prodotto dell’attività economica in un mondo dove gli intangible pesano sempre di più. Inoltre, nel 2018, il pil lussemburghese valeva appena il 3,4 per cento del nostro, quello irlandese il 18,3 per cento e quello olandese il 43,8 per cento. Comunque, il presunto opportunismo fiscale degli altri non spiega se non marginalmente la stagnazione italiana. Ci sono molti altri fattori: il principale è la dinamica della produttività, che a sua volta dipende, guarda un po’, anche dal livello di concorrenza, su cui tuttavia l’Antitrust non sembra aver molto da dire (almeno a giudicare dalle sue stesse scelte di comunicazione). Qualcuno dovrebbe segnalarlo a Rustichelli.

 

 

La faccenda della concorrenza fiscale, peraltro, nasconde almeno due temi diversi. Da un lato c’è la legittima scelta degli stati di spendere poco per tassare poco. Per esempio, in Irlanda la spesa pubblica ammonta al 25,4 per cento del pil, contro il nostro 48,4 per cento: non è che possiamo obbligare Dublino a prepensionare, distribuire regalie di cittadinanza o nazionalizzare le aziende bancarottiere per pareggiare i conti. Dall’altro lato, ci sono le politiche discrezionali degli stati per attirare singole imprese. Nel caso Apple, che Rustichelli cita a sproposito, l’Irlanda è stata condannata dalla Commissione europea a riscuotere 13 miliardi di arretrati perché gli sconti fiscali offerti all’azienda di Cupertino sono stati considerati un aiuto di stato. Il problema, dunque, non è l’equivalente irlandese della nostra Ires (12,5 per cento contro 24 per cento), ma l’applicazione ad personam di un’aliquota ulteriormente ridotta. Il paradosso è che, se Rustichelli intende dar battaglia, non dovrebbe prendersela con la concorrenza fiscale né con l’Europa, ma col governo italiano che – assieme ad altri – vorrebbe annacquare la disciplina degli aiuti di stato.

 

Ma queste sono considerazioni di merito, e qui la forma conta più della sostanza. Né la concorrenza fiscale, né gli aiuti di stato rientrano tra le competenze dell’Antitrust. Quindi, non c’è nulla che Rustichelli possa fare; mentre su altri fronti ci sarebbe molto. Dei 748 milioni di euro di multe vantati nel 2019, 678 (il 91 per cento) derivano da un unico caso, quello contro le finanziarie auto, su cui pende il giudizio del Tar. In altre occasioni la mano “de fero” dell’Autorità si è rivelata “de piuma”: per gli abusi gravi e prolungati nel tempo di Trenitalia, la sanzione è stata di appena 1.000 euro. Contemporaneamente, l’Antitrust è silente mentre lo tato torna a dilatarsi e precludere spazi competitivi (dall’Alitalia alla Tim), le liberalizzazioni vengono disattese (come nel caso dei mercati dell’energia), gli obblighi europei ignorati (citofonare Bolkestein). Ci sarebbe abbastanza materiale per compilare la segnalazione per la legge per la concorrenza, che l’Agcm dovrebbe fare ogni anno e di cui si sono perse le tracce. Che in questo contesto il Garante della concorrenza parli di competizione solo per lamentarsi che gli altri paesi Ue non tassano abbastanza, è forse la giusta chiosa di un anno bellissimo.

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