Dopo l’audizione in Parlamento di Joerg Eberhart, top manager di Lufthansa nelle trattative per l’acquisizione di Alitalia e ceo della controllata Air Dolomiti, lo “spin” della maggioranza di governo è sulle condizioni inaccettabili del gruppo tedesco, senza impegno finanziario a favore di una partnership commerciale grazie alla quale beneficerebbe della ristrutturazione chiesta alle autorità italiane. Una versione suffragata da Gianfranco Battisti, ad di Ferrovie dello Stato che avrebbe dovuto guidare la parte italiana della cordata assieme ad Atlantia, che si è tirata fuori dalla partita per altri noti motivi. “Lufthansa non ci ha mai risposto, a differenza di Easyjet e Delta” ha detto Battisti facendo balenare il disimpegno anche di Ferrovie (peraltro non affatto sgradito dall’azienda pubblica). Ma Lufthansa non ha suggerito lo strangolamento di Alitalia, mentre l’intera vicenda evoca la retorica della Germania sempre nemica dell’Italia sovrana che non vuole “svendere” un “asset” (fallito) e “strategico”(che però nessuno ritiene tale). Sembra di risentire gli echi del 2011, della lettera inviata a Roma dalla Bce, dei moniti di Angela Merkel ai vari governi italiani. Lufthansa chiede sì una profonda ristrutturazione di Alitalia, ma dice anche che il taglio dei dipendenti – pur necessario e riconosciuto tale anche da parte italiana – è l’ultimo passaggio. Si tratta di tagliare costi altrove, a cominciare dai leasing degli aerei, tra i più alti del mondo, e dalla riduzione di collegamenti (nazionali) imposti dalla politica. A guardar bene avrebbe da guadagnarci proprio Ferrovie, la cui alta velocità nel centro-nord è satura mentre al sud è tutta da sviluppare. Nel frattempo, dicono ancora i tedeschi, Lufthansa è pronta subito a una partnership commerciale paritaria, di certo per capire – prima di metterci soldi – se gli italiani vogliono fare sul serio oppure se intendono sperimentare l’ennesima formula tra grandeur mondiale e interessi locali. Non molto diverso appunto dalla crisi del paese nel 2011.
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