Anche nella Confindustria esistono rituali, così le candidature per la presidenza (Vincenzo Boccia scade a maggio prossimo) verranno presentate dopo il 23 gennaio, quando si insedieranno i tre saggi che consulteranno la base, a loro volta indicati dagli ex presidenti. Ma i candidati si conoscono già, e sono tutti esponenti del nord; tra loro pezzi da novanta a cominciare dal presidente di Assolombarda Carlo Bonomi, da Andrea Illy, dall’ex presidente di Federacciai, il bresciano Giuseppe Pasini. Le previsioni sono di una sfida tra Bonomi e Licia Mattioli, ex capo degli industriali di Torino, oggi vice di Boccia e come lui di origini campane. Il dettaglio non deve trarre in inganno: le pruderie che spesso hanno giocato a favore di industriali del sud, meglio se medio-piccoli (pruderie assecondate dalle holding pubbliche che in Confindustria fanno pesare i voti), stavolta sembrano accantonate per la situazione della parte produttiva del paese, l’asse padano che sconta varie crisi: di infrastrutture pubbliche, dell’Ilva, dell’indotto Auto, di plastic e sugar tax. In tutte queste vicende c’è lo zampino o la disattenzione del governo, di questo come di quello gialloverde. Ai tempi della Lega alleata dei 5 stelle molti dei candidati protestarono con veemenza, su tutti Bonomi, assecondando le piazze pro Tav, senza distinzioni tra Salvini e Di Maio e Toninelli. Lo stesso malumore riguarda la maggioranza rossogialla nella quale gli industriali non vedono discontinuità: la ristatalizzazione di Alitalia, i casi Ilva e Atlantia, le tasse e le nostalgie per l’articolo 18 sono nel solco del decreto dignità, del reddito di cittadinanza, di quota 100. Per questo un forte presidente nordista riguarda più che altre volte il governo, così come l’opposizione salviniana. Il mondo dell’impresa ha preso le misure a entrambi, è stufo di slogan, populismi e svolte etiche. E ha ragione.
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