Così perde vigore la spinta “merkeliana”
La crescita rallenta ancora nel 2019 con pil aumentato “solo” dello 0,6 per cento
“Il secondo miracolo economico tedesco è alla fine”, titola un’analisi di Bloomberg, confermata dal dimezzamento allo 0,6 per cento del pil 2020 stimato dalla Bundesbank, dal calo della produzione industriale (tuttavia in ripresa a novembre) dalle previsioni del quotidiano finanziario Handelsblatt di 410 mila posti di lavoro a rischio per la conversione elettrica dell’auto. Anche Bloomberg individua nello spiazzamento di auto e digitale una delle cause della fine del miracolo tedesco: “I motori elettrici hanno 200 parti rispetto alle circa 1.200 di quelli termici”, e per di più quei “veicoli costosi, posseduti e guidati per diletto da persone benestanti, alimentate da residui fossili di milioni di anni fa verranno gradualmente sostituite da auto elettriche condivise da passeggeri che presteranno più attenzione al prezzo che ai cavalli di potenza”.
L’analisi concede il beneficio del dubbio (“I vincitori nell’industria del futuro non sono ancora chiari”), ma per l’Italia sono evidenti le conseguenze e le lezioni. E ricorda che gli ultimi 15 anni, “il regno di Angela Merkel”, hanno trasformato la Germania da malato d’Europa a potenza globale, e la saggezza con la quale la cancelliera ha dato seguito alle riforme del welfare e di flessibilità del lavoro del predecessore socialdemocratico Gerhard Schröder, cui ha aggiunto la disciplina dei conti pubblici. È grazie a queste riforme e al rigore se la Germania può affrontare la crisi, o la svolta economica, con una disoccupazione al 3,1 per cento e un debito pubblico sceso in 10 anni dall’80 al 60 per cento del pil; e questo grazie a cinque avanzi consecutivi di bilancio, l’ultimo (13,5 miliardi) da record.
Nello stesso periodo la disoccupazione italiana è aumentata dal 6 al 10 per cento ed il debito dal 120 al 135 del pil. La Germania ha spazio fiscale in abbondanza per investire, l’Italia zero. Però le ricette fiscali e produttive di questi giorni sono di stampo più novecentesco che volte al futuro, per la necessità (anche) di accompagnare svolte strategiche con chi fino ieri la crescita intendeva abolirla. A ben guardare la spinta riformista merkeliana ha iniziato ad affievolirsi quando ha dovuto cedere, al ribasso, a coalizioni e programmi sempre più innaturali.