Un calo trimestrale dello 0,3 per cento, rilevato ieri dall’Istat per gli ultimi tre mesi del 2019, non si vedeva dall’inizio del 2013, quando la crescita rallentò addirittura di un punto. Da allora di trimestri a crescita sottozero ce ne sono stati solo quattro: il primo 2014 (meno 0,2), il terzo 2014, il secondo e terzo 2018 (meno 0,1). Il tuffo nella decrescita segue quattro trimestri a più 0,1, il che consente di chiudere il 2019 con un pil che sale di due decimali, mentre di meno 0,2 è l’effetto acquisito sul 2020. In pratica se nei prossimi mesi non si muove nulla avremo a metà anno una recessione conclamata. Gli analisti si aspettavano il contrario: un decimale in più sul trimestre precedente e un risultato annuo dello 0,3. Anche il governo, che sul 2019 si era mantenuto prudente stimando lo 0,1, è spiazzato per la proiezione su quest’anno: nel 2020 l’esecutivo ha messo in bilancio una crescita dello 0,6 per cento, e su questa ha posizionato l’obiettivo di un deficit intorno al 2,2 per cento e dell’inizio di riduzione del debito. L’ottimismo governativo è stato così smentito dalla Banca d’Italia, dalla Commissione europea (che pure ha finora usato il guanto di velluto), dal Fmi e dall’Ocse. E ora trova riscontro nei fatti, anche se l’Istat dovesse migliorare di un decimale quel meno 0,3. Ma si parla sempre di decimali attorno allo zero e, per quanto possano variare, la realtà non cambia: l’Italia è ferma. La parola d’ordine è di dar la colpa a fattori esterni, che cospirano sempre contro di noi. E in particolare all’economia tedesca. Ma tre giorni fa Berlino ha rivisto al rialzo le stime 2020, dall’uno all’1,1 per cento. Resta invece da valutare l’impatto negativo dell’epidemia cinese: vale per tutti, certo, ma i problemi di debito sono nostri. Il capo del Mef, Roberto Gualtieri, prevede “un rimbalzo nel primo trimestre 2020” e si dice “ancora più determinato a implementare il sostegno a crescita e investimenti”. Non si capisce a quale sostegno si riferisca visto che in legge di Bilancio gli investimenti scarseggiano, mentre si discute sempre di pensioni e assistenzialismo. Dopo l’“anno bellissimo” gialloverde se ne rischia uno uguale, ma rossogiallo. Il giallo non porta bene: degrillizzare il governo non è più un’opzione, è una necessità.
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