Francia e Italia: viva la fuga dei cervelli
Finanza, moda e non solo. Spunti contro il nazionalismo economico
Da luglio il milanese Luca De Meo lascerà la presidenza di Seat (gruppo Volkswagen) per diventare ceo di Renault, controllata dal governo francese. Che si affida a un italiano dopo l’arresto e le dimissioni di Carlos Ghosn, il fiasco di Thierry Bolloré, l’interim di Jean-Dominique Senard. De Meo era partito proprio dalla Renault, passato alla Toyota e lanciato nell’olimpo dell’auto da Sergio Marchionne. Se in Europa oggi è una sorta di Cristiano Ronaldo dell’auto, il suo corrispettivo alla Peugeot-Citroën, Carlos Tavares (che però è portoghese), può essere Leo Messi. Tra l’altro De Meo dovrà rilanciare un’azienda lacerata dallo scontro franco-giapponese intorno alla controllata Nissan seguìto proprio alla rottura della trattativa con Fca, mentre il gruppo italiano si fonde con Psa. De Meo non è l’unico manager italiano a varcare le Alpi: Andrea Guerra, ex Luxottica e presidente di Eataly (e già consigliere di Matteo Renzi) va a guidare il ramo alberghi di Lvmh, la maggiore conglomerata del lusso dove già sono Antonio Belloni (direttore generale) e Pietro Beccari, numero uno di Christian Dior, mentre Francesca Bellettini (presidente e ceo di Yves Saint Laurent), e Marco Bizzarri (ad di Gucci) lavorano per il concorrente Kering.
Qualcuno può immaginare qualcosa di più francese di Saint Laurent, Dior e Renault? Sì: lo stato. E qui Emmanuel Macron ha voluto come consulente alla Cultura Claudia Ferrazzi, già direttrice del Louvre. Mentre in Italia sono stati additati come traditori della patria Enrico Letta, trasferitosi a Sciences Po, e Sandro Gozi, candidatosi alle europee coi macroniani. In finanza la fuga di cervelli è piuttosto verso l’Italia: Lorenzo Bini Smaghi è presidente di Société Générale, ma Philippe Donnet e Jean Pierre Mustier guidano Generali e Unicredit. Macron ha rinunciato al franco africano, sul quale destra e grillini imbastirono una memorabile quanto ridicola battaglia. Invece i sovranisti italiani non hanno ancora rinunciato a una delle retoriche più idiote che si ricordino: il provinciale nazionalismo antifrancese. La finanza, il lusso, l’auto, per non parlare della scienza e della cultura, guardano oltre.