Mps in rosso è il pasticcio dello stato-banchiere
La perdita di 1 miliardo provocata dal ripristino dell’Aiuto alla crescita
Per capire come mai il Monte dei Paschi di Siena ha chiuso il bilancio 2019 con una perdita superiore a 1 miliardo di euro, quando nel 2018 aveva registrato profitti pari a 280 milioni, bisogna leggere la comunicazione che la banca ha fatto al mercato il 9 gennaio, passata inosservata al pubblico dei non addetti ai lavori. Nella nota, infatti, viene anticipato che una misura contenuta nella legge di Bilancio per il 2020 del governo rossogiallo avrebbe avuto un forte impatto negativo sul bilancio. Infatti, la reintroduzione dell’Ace – Aiuto alla crescita economica, sospeso nel 2018 – comporta sì un importante beneficio fiscale grazie alla riduzione dei redditi imponibili, ma allo stesso tempo determina una minore capacità di futuro riassorbimento delle cosìddette Dta – vale a dire attività per imposte anticipate – con conseguente riduzione del loro valore iscritto in bilancio. La conferma di questa previsione è arrivata ieri con la pubblicazione di dati annuali in profondo rosso seppure, è stato specificato, la perdita non altera i requisiti patrimoniali e la capacità commerciale della banca stessa. Insomma, l’Ace è stata ripescata dal governo con fini di politica economica, ma per il Montepaschi si traduce in una spinta alla “decrescita”, proprio nel momento in cui si stanno concludendo i negoziati con la Commissione europea per lo scorporo di 10 miliardi di crediti deteriorati. Questo passaggio rappresenta la condizione indispensabile per riportare l’istituto senese sul mercato entro il 2021, come da accordi presi con Bruxelles quattro anni fa quando il Mef ha acquisito il 68 per cento del capitale. Ma con un “rosso” di oltre 1 miliardo di euro sarà meno facile convincere investitori a caccia di redditività. Certo, tutto può succedere e le strade potrebbero essere diverse, compresa l’aggregazione con altri operatori del credito, ma la lezione che si ricava da questa storia è che lo stato farebbe meglio a stare lontano dalle banche perché “nazionalizzare” è più facile che “reprivatizzare”, soprattutto quando un’azione di politica economica si trasforma in un boomerang per un implicito conflitto di interessi.