Roberto Gualtieri (foto LaPresse)

Anche Gualtieri ha un guaio serio con il deficit di investimenti

Maria C. Cipolla

Il ministro dell’Economia apre il dossier della gestione del risparmio ma senza i metodi gialloverdi. Che fare? La linea Ocse

Milano. Il colmo, per un paese in cui la propaganda sovranista attira consensi crescenti, è dipendere dall’estero per disporre di capitali di investimento. E di questo colmo l’Italia è ottimo esempio. Gli italiani dispongono di un ampio patrimonio – l’ultima indagine di Banca d’Italia stimava una ricchezza pari ai 9,7 miliardi di euro, pari a otto volte il reddito – ma non lo incanalano nel sistema produttivo (mentre investono 5 miliardi in immobili). Non a caso il mercato dei capitali del nostro paese, ideale cinghia di trasmissione tra risparmio e economia reale, risulta inadeguato alla capacità produttiva italiana, costringendo gli investitori a guardare oltreconfine. “Il numero di obbligazioni societarie emesse in Italia e all’estero, da parte di imprese non finanziarie italiane, è stato pari a circa il 6 per cento di tutte le emissioni europee, circa la metà della percentuale italiana del pil europeo”, si legge nella review annuale dell’Ocse sul nostro mercato finanziario di fine gennaio. Il 90 per cento è quotato all’estero, il 70 per cento è detenuto da investitori stranieri contro il 51 per cento in Francia e Germania.

 

 

“A fine 2017 solo il 7 per cento dei portafogli degli investitori istituzionali italiani era investito in azioni e obbligazioni di aziende italiane (i fondi pensione il 16,6 per cento, pari a 21,2 miliardi, ndr), mentre a fine 2018 i fondi aperti hanno investito appena il 2 per cento, 5 miliardi, delle loro attività” (dati 2019 di Bankitalia, ndr). Al contrario gli investimenti in imprese straniere – anche tramite fondi esteri – ammontavano a 190 miliardi. Alla situazione paradossale contribuisce il sotto dimensionamento delle nostre imprese. Ma intanto, avverte l’Ocse, “la prosperità futura delle famiglie italiane” dipenderà “in maniera apprezzabile dal grado di successo con cui si riuscirà a far confluire” i risparmi verso gli investimenti. Della questione è ben consapevole il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che al convegno dell’associazione dei consulenti finanziari ha spiegato che per rilanciare la crescita serve “canalizzare il surplus di risparmio verso il deficit di investimenti”.

 

 

Ma il tema delle scelte di investimento dei cittadini, come ci hanno insegnato gli scandali bancari, è delicato. E se è vero che il governo ha corretto le norme sui Pir (piani individuali di risparmio) e aperto un confronto con l’Ue sugli Etlif (European long term investment funds) sarebbe utile tenere in considerazione i suggerimenti dell’Ocse. Che raccomanda di creare un quadro fiscale favorevole – tra le altre cose con crediti di imposta per la copertura delle pmi da parte degli analisti. Ma suggerisce anche di semplificare le quotazioni e di “stimolare un aumento del flottante libero”, “autorizzando strutture di diritto di voto più flessibili, in risposta ai timori, tra fondatori e azionisti di lunga data, circa l’efficacia delle decisioni di importanza fondamentale per il futuro andamento della società”. Chiede efficienza della giustizia con l’istituzione di sezioni specializzate o di una corte ad hoc sull’esempio francese. Raccomanda di rendere chiaro il quadro normativo ad oggi “incompleto e incoerente” a partire dai requisiti dell’investitore qualificato e di rafforzare la Consob, alzando le sanzioni e rivedendo le sue policy e le norme sul conflitto di interesse, in modo che non danneggino l’autorità nell’attrarre i migliori dirigenti: un riferimento chiaro al caso Nava, una cicatrice dimenticata ma che vista dagli osservatori esterni pesa ancora sulla reputazione dell’authority. Certo i rischi ci sono, a partire da quello di “creare una partita di giro tra erario e gestori”, avverte Andrea Resti, professore della Bocconi esperto di rischio credito, ma le iniziative mirate sono positive e “un tribunale che si occupi di società quotate può creare economie di scala e avere tempi più brevi. L’ultima commissione banche aveva proposto una procura ad hoc, ma il nuovo Parlamento impegnato con la nuova, invece di riprendere il discorso rischia di cancellare la lavagna”.

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