Virus e pil. E' ora di far tornare l'Italia un luogo adatto a fare impresa
Investimenti pubblici fermi, assenza di chiarezza sulla politica fiscale, confusione sul “rischio legale”. Spunti per reagire
L’impatto economico in Italia della epidemia da coronavirus dipenderà dalla durata e dall’estensione del contagio in Cina, in Italia e nel resto del mondo. Questo sarà il dato di contesto oggettivo su cui purtroppo grava ancora incertezza. Ma dipenderà anche dal modo in cui in Italia verrà gestito il problema. Individuare con chiarezza i vari canali attraverso cui si manifesteranno i principali danni economici è il primo passo per definire le misure economiche da adottare, assumendo che, nel frattempo, si riescano a neutralizzare nel modo più credibile e rapido possibile gli effetti degli errori di comunicazione e del mix micidiale di “ipo” e “iper-reazione” messo in atto, fino ad oggi, nell’interazione mediatica degli organi di governo. L’epidemia da coronavirus agirà sull’economia attraverso più canali. Il primo è il canale esterno, rappresentato dal peggioramento della congiuntura economica globale, come conseguenza dell’arresto della Cina, che si spera non sia lungo, e di come si svilupperà l’epidemia in Giappone, nel resto dell’Asia, in Europa, e nel resto del mondo. In sostanza, questo significa un impatto forte sul nostro export sia di beni finali e intermedi sia di servizi, a partire da quelli connessi al turismo.
Esercitarsi sulla dimensione di questo impatto è ancora difficile sia per l’incertezza sulla durata e sull’estensione internazionale dell’epidemia, sia perché da questa incertezza dipendono possibili cambiamenti di policies da parte dei vari paesi implicati che possono influenzare l’impatto finale cumulato. L’intensità della flessione della domanda globale dipenderà, oltre il breve periodo, da come verranno preservate le catene produttive globali, già poste sotto stress dalla guerra dei dazi e dalle prime manifestazioni di un protezionismo tecnologico generato da motivazioni geopolitiche.
Non sappiamo quindi se l’effetto anche di breve periodo può essere paragonato a quello di una calamità naturale, seppur di vaste proporzioni. In questo caso, non siamo ancora in grado di stimare quanta incertezza addizionale, oltre i fatti osservabili, si stia creando a livello globale e, quindi, le conseguenze sul piano dei comportamenti di consumo e investimento a livello globale. In ogni caso, in Italia, tutto ciò significa un crollo di domanda internazionale, almeno nel breve periodo, in tutti i nostri settori interessati.
Gli altri canali di trasmissione sono interni e derivano dall’impatto dell’epidemia in Italia e delle misure adottate per circoscriverla. E qui contano i rallentamenti della produzione nelle aree più avanzate del paese, nella manifattura e in tutti i settori dei servizi, da quelli che ruotano intorno alla manifattura, a cominciare dalla logistica, alla mobilità delle persone, al turismo. In altri termini, dobbiamo anche fronteggiare le conseguenze sia di una riduzione inevitabile della domanda interna, oltre che di quella internazionale, sia di difficoltà dal lato dell’offerta che rischiano di essere l’effetto più pericoloso dell’epidemia, nella misura in cui le imprese italiane si venissero a trovare svantaggiate nella difesa della posizioni competitive raggiunte nei mercati internazionali e nelle catene produttive globali, o negli sforzi di rafforzarle.
Cercare di sistematizzare per quanto possibile i principali canali attraverso i quali si manifesterà l’effetto negativo del coronavirus in Italia serve per individuare le possibili azioni da adottare per contrastarlo. Tuttavia, il senso di realtà richiede che si parta dal fatto che l’economia italiana già si trovava in sostanziale stagnazione e a un passo dalla recessione, sia per le preesistenti incertezze della congiuntura globale sia per le difficoltà interne. Tra quest’ultime, richiamiamo quelle su cui è nella disponibilità politica un intervento, anche rapido: incapacità di far ripartire gli investimenti pubblici, assenza di chiarezza sugli indirizzi di politica fiscale, confusione legislativa su tutti gli aspetti che gli investitori italiani e stranieri riassumono nella definizione di “rischio legale” del fare impresa, spesa pubblica riorientata ai bonus pro consenso. Sono tutti elementi che determinano aspettative negative per gli investitori e per i mercati finanziari e, quindi, agiscono in modo depressivo sulla propensione a consumare e a investire. Forse si potrebbe aggiungere, tra i fattori problematici, la paralisi evidente dell’Europa, ma la cosa peggiore, oggi, sarebbe cercare alibi esterni.
Se questa è una rappresentazione che si avvicina alla realtà, allora è chiaro che è necessaria una immediata azione che tenga conto di questa realtà. Ovviamente è necessario, nel brevissimo periodo, stanziare fondi per sostenere imprese e famiglie direttamente danneggiate. In questa situazione abbiamo, tuttavia, bisogno soprattutto di una forte iniezione strutturale di domanda interna. Questo non vuol dire semplicemente “mettere soldi nelle tasche degli italiani”, perché questi soldi, in una situazione di incertezza, sarebbero in parte risparmiati o in parte utilizzati per acquistare beni probabilmente prodotti all’estero (ad esempio, prodotti tecnologici di largo consumo) e commercializzati attraverso piattaforme di e-commerce. Rilanciare la domanda interna significa far ripartire il mercato interno, cioè i settori legati agli investimenti infrastrutturali che dipendono meno dalla domanda estera e che hanno un enorme indotto italiano. Significa quindi far riprendere immediatamente gli investimenti pubblici.
Non si tratta di ripetere litanie note, ma di adottare provvedimenti concreti. Si sospenda il codice degli appalti e si adotti la direttiva europea (la proposta fu elaborata al Mef lo scorso anno), in attesa di una riforma organica che aspettiamo da anni: un segnale fortissimo di mutamento di indirizzo. Molti chiedono di estendere l’uso dei commissari straordinari. Nulla da eccepire se non il fatto che è necessario interrompere l’abitudine di estendere deroghe alla regolamentazione, perché si constata che questa non funziona, ma al tempo stesso ci si rifiuta per motivi ideologici di cambiare questa stessa regolamentazione. Sono queste ideologie, che permangono immutate nell’avvicendarsi dei governi, che bloccano l’azione e producono legislazioni che, al di là dei loro effetti concreti, si presentano come fortemente anti impresa, e quindi agiscono negativamente sugli “animal spirits”, senza peraltro far funzionare l’azione pubblica.
Al tempo stesso, si stanzino altre risorse per i comuni per investimenti immediati in infrastrutture e rigenerazione urbana, che possono incorporare molte innovazioni tecnologiche. Sono gli unici investimenti che l’anno scorso si sono mossi.
Altro provvedimento da prendere è quello di estendere immediatamente i vantaggi del “super e iper-ammortamento” agli investimenti green, cioè a investimenti che, come effetto, determinano sostituzione o adozione di tecnologie con effetti misurabili sugli obiettivi “verdi”, anche nelle infrastrutture. Gli spazi di bilancio possono essere trovati riallocando le risorse disponibili secondo logiche di crescita. L’importante è dare messaggi chiari.
Su questo punto spero che non la si butti, come si dice a Roma, “in caciara”, rinviando tutto al richiamo alla solidarietà europea. Certamente, le politiche europee devono cambiare e forse cambieranno, ma si riconosca che non sono stati i vincoli europei a limitare la spesa pubblica per investimenti. E’ stata in parte una scelta, in parte una incapacità italiana. Non possiamo aspettare una eventuale sospensione del Fiscal compact, anche perché il rispetto stretto delle regole fiscali europee sta già diventando evanescente e, in ogni caso, di fronte alla situazione economica che non solo l’Italia deve fronteggiare, non è certo un aumento ex post del deficit per spesa effettiva per investimenti che può portare a reazioni negative europee. Anche perché quello che conta è la reazione dei mercati finanziari, e questi reagiranno male di fronte a una nuova recessione, da corona virus o endogena, e maggior deficit senza concreti segnali di intervento per smantellare i fattori di ostacolo strutturale alla crescita. Mentre è possibile mantenere la loro fiducia riconquistata parzialmente lo scorso anno, anche con qualche decimale di deficit in più se, guardando a come vengono utilizzate le risorse, il nostro debito apparirà in prospettiva sostenibile. In altri termini, il modo migliore per rispondere ai danni del coronavirus è approfittare dell’emergenza per spazzare via tutto ciò che rende l’Italia un luogo ostile all’impresa e all’innovazione, e così combattere la nostra stagnazione endogena.