L’11 maggio 1946 Arturo Toscanini, non proprio un tipo socievole, tornò da New York a Milano per dirigere un solo concerto: quello della riapertura della Scala. Semidistrutta dai bombardamenti alleati, i milanesi vollero ricostruirla in fretta e furia come simbolo della rinascita della città e del paese, e il maestro si prestò: trovò buona l’acustica, che invece risentiva delle macerie sepolte proprio sotto il palco. E i 3 mila che affollavano il teatro e le decine di migliaia affluiti dalle periferie assiepati in piazza Duomo che ascoltarono l’ultimo pezzo, il “Nabucco”, tornarono a casa con una consapevolezza che univa signori e operai, quella di una ripartenza che doveva riguardare tutti. Se, forse impropriamente, la pandemia viene paragonata a una guerra, una simile comune partecipazione non si è ancora vista nell’uscita dell’Italia dal lockdown.
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