L’ecobonus al 110 per cento, inserito nell’ultimo decreto e apprezzato da tutte le forze politiche e dalle categorie produttive, parte dalla volontà di rilanciare l’edilizia e i cantieri. Ma ha diversi e grossi problemi, come è naturale ed evidente per qualsiasi bonus o credito d’imposta superiore al 100 per cento della spesa sostenuta. Sul Foglio lo abbiamo scritto diverse volte (Carlo Stagnaro e Edoardo Zanchini il 10 maggio e Luciano Capone il 15 maggio): la generosità eccessiva, in un periodo in cui di per sé servirebbe una gestione oculata per un paese con molte necessità e un debito crescente, produce inoltre un circolo vizioso spingendo cittadini e imprese ad abusarne. Il bonus al 110 per cento diventa un enorme incentivo alla sovrafatturazione e favorisce comportamenti collusivi tra i privati: in pratica lo stato mette in palio un premio per chi lo truffa, incoraggiando comportamenti economicamente razionali ma eticamente discutibili. A queste stesse conclusioni, è giunto l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), l’organo indipendente vigilante sulla finanza pubblica: “Occorre segnalare il possibile utilizzo della misura a fini elusivi o speculativi – ha dichiarato il presidente dell’Upb Giuseppe Pisauro in audizione alla commissione Bilancio della Camera –. L’entità della detrazione riduce sensibilmente il conflitto di interessi tra fornitori e acquirenti sul costo degli interventi agevolati, avendo entrambe le parti convenienza a massimizzare la spesa fino a raggiungere l’importo massimo agevolabile. Nel caso, ad esempio, di imprese che forniscano sia lavori di riqualificazione energetica che di ristrutturazione al medesimo cliente, potrebbe convenire alle parti sovrastimare il costo dei primi, al fine di finanziare con l’agevolazione anche i secondi”. Anche a causa di questo incentivo perverso, l’Upb segnala “un rischio di sottostima degli oneri ai fini dell’indebitamento netto”. I soldi, se li regali, non bastano mai. Ma i debiti, poi, vanno ripagati.
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