Il Tesoro conferma il dossier sull’uscita dal capitale del Monte dei Paschi di Siena, dove è arrivato a detenere il 68 per cento. Il primo passaggio sarà la cessione di 8 miliardi di sofferenze a una bad bank di Amco, azienda italiana nata nel 1989 per recuperare crediti deteriorati; Amco è a sua volta pubblica ma fin qui ha operato con successo (secondo il servizio bilancio della Camera è riuscita a recuperare il 90 per cento delle attività) lanciando anche in Italia un business fiorente all’estero. Quanto alla ri-privatizzazione di Mps i rumors, smentiti, parlano di cessione al Banco Bpm, terzo gruppo italiano nato nel 2017 dalla fusione tra Banco popolare di Verona e Popolare di Milano. Entrambi ex cooperative, entrambi finiti in crisi, entrambi spinti a evolvere verso il mercato dalla riforma del credito del governo di Matteo Renzi. Oggi Banco Bpm è solido, uscito bene dagli stress test, apprezzato dagli analisti. Mps non sarà un boccone facile ma neppure indigeribile come un paio di anni fa; la privatizzazione costituirà uno sgravio per i contribuenti e merce preziosa in epoca di stato nuovamente padrone. Il segnale principale però è un altro.
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