La Vigilanza della Banca centrale europea dove l’italiano Andrea Enria ha, nel 2018, sostituito la francese Danièle Nouy, compie un’inversione a U a proposito di fusioni tra banche. E nelle linee guida pubblicate mercoledì incoraggia le aggregazioni in quanto presupposto del rafforzamento di capitale e della capacità degli istituti di investire a cominciare dalla digitalizzazione. La “consultazione pubblica” (richiesta di opinioni alle parti interessate) si concluderà a ottobre con esito che appare scontato; nel frattempo la Bce fa capire il proprio orientamento, aggiungendo che banche più grandi e integrate potrebbero avere una corsia facilitata nei futuri stress test. In passato la Vigilanza aveva rallentato le concentrazioni richiedendo per esempio aumenti di capitale affinché i due o più contraenti venissero messi a parità di requisiti, cosa che rallentò la fusione Banco popolare-Bpm; Enria ha chiarito che d’ora in poi si guarderà invece ai piani industriali. Diverso orientamento continua invece ad arrivare dalla Commissione dove Margrethe Vestager, vicepresidente e responsabile della Concorrenza, ha aperto un’istruttoria sulla fusione Fca-Psa per un possibile cartello nel settore dei veicoli commerciali. In precedenza aveva agito contro Lufthansa per il controllo contemporaneo di Air Dolomiti e Austria Airlines, mentre non ha obiettato agli aiuti pubblici concessi dai governi ai vettori nazionali. Al di là degli orientamenti personali (Enria è un economista esperto di tecnica bancaria, la Vestager una liberaldemocratica) dall’Europa non arriva un messaggio univoco. Le banche non sono un’industria essenziale come la manifattura? Se vengono considerate servizi (è un demerito?), non lo sono anche le compagnie aeree? Si tratta di distinzioni novecentesche. Chi ostacola le fusioni afferma di voler tutelare i consumatori: ma questo riguarda tanto chi compra un furgone o un biglietto aereo, quanto un correntista. Anche perché è da decenni evidente che le insidie alla concorrenza non vengono dalla globalizzazione in ambito europeo, ma dalla guerra dei dazi Usa-Cina e dagli standard ambientali che penalizzano l’Europa a vantaggio dei produttori cinesi e indiani.
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