All’indomani della tragedia del ponte Morandi, la posizione dell’esecutivo giallo-verde fu netta: Aspi è inadeguata a gestire l’infrastruttura autostradale. Ciò è stato più volte ribadito anche dopo la staffetta con la maggioranza giallo-rossa. Naturalmente, la revoca espone al rischio di contenzioso che potrebbe portare lo Stato a soccombere ed erogare un risarcimento plurimiliardario. E’ il bello dello stato di diritto: c’è sempre un giudice a Berlino, che può e deve sindacare gli atti di chi detiene pro tempore posizioni di potere. Palazzo Chigi, con la scelta fatta martedì notte, si sta invece muovendo su un terreno diverso: non contesta l’inadeguatezza di Aspi, ma quella dei suoi azionisti e, in particolare, della famiglia Benetton. Così, ha ignorato la lettera con cui l’azienda si rendeva disponibile ad accettare pressoché tutte le condizioni in materia di indennizzi, investimenti, tariffe e sicurezza, e ha scatenato una guerra senza quartiere. Questa guerra ha due dimensioni: una si gioca nel segreto delle trattative, l’altra sui media.
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