Sospendere il decreto Dignità
Per evitare un crollo occupazionale bisogna consentire il rinnovo dei contratti
Sui temi del lavoro c’è un importante nodo che il governo dovrà affrontare. Il 31 marzo scade il termine, precedentemente esteso dal 31 dicembre 2020, che proroga la norma del decreto “Rilancio” che consente alle imprese di rinnovare i contratti a termine in assenza di causale. Ferma restando la durata massima totale di 24 mesi, la norma consente di prorogare il rapporto di lavoro temporaneo per un massimo di 12 mesi. Si tratta di un provvedimento di normale buon senso, che peraltro era anche uno dei punti del cosiddetto piano Colao (l’attuale ministro per l’Innovazione), voluto e annunciato in pompa magna dall’ex premier Conte, per “l’occupazione e la ripartenza delle imprese”. Eppure è una norma che incontra forti opposizioni, soprattutto nel M5s, perché è un totem del decreto “Dignità”. Nelle intenzioni dell’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio l’obbligo di motivare il rinnovo del contratto a termine avrebbe dovuto spingere e incrementare le trasformazioni verso contratti permanenti. Non sempre è andata così, perché molto spesso la norma ha prodotto una rotazione degli assunti a temine. Ma una norma del genere, che potrebbe non creare molti problemi in una fase espansiva, è deleteria in una crisi profondissima come questa, dove la forte recessione è accompagnata da una grande incertezza: in una situazione del genere, per giunta con il blocco dei licenziamenti, è altamente improbabile che un’impresa decida di trasformare contratti temporanei in rapporti a tempo indeterminato. Abbiamo già visto in questa pandemia che il crollo occupazionale è avvenuto prevalentemente per la cessazione dei contratti a termine. Non estendere la sospensione della causale fino a fine anno farebbe semplicemente perdere il lavoro a tantissime persone, prevalentemente giovani e donne, che non hanno neppure una rete di ammortizzatori sociali.