Una road map contro la confusionaria gestione pandemica
Il Recovery Plan dovrà assicurare la compatibilità con le regole e le indicazioni europee ma soprattutto dovrà essere realizzato nei tempi previsti. Per questo serve semplificare la burocrazia italiana
Soltanto la forzata astinenza da stadi calcistici può spiegare la disputa quotidiana tra i fautori delle riaperture a prescindere e i paladini delle restrizioni quali unico argine al virus. Non è una metafora ma la rappresentazione icastica delle convulsioni che attraversano la politica e si propagano alla società civile in una fase delicata e decisiva che segnerà il futuro a medio termine del nostro paese. E’ in gioco la capacità di scrivere una road map condivisa per mettere alle corde il virus e ridare ossigeno al sistema economico, prospettare alle persone un imminente ritorno alla normalità nella vita quotidiana.
Il numero intollerabile di decessi quotidiani ci ricorda che siamo ancora in guerra ma iniziamo a scorgere qualche spiraglio di luce in fondo al tunnel. La fine dell’incubo sta diventando concreta, serve stringere i denti per compiere l’ultimo chilometro, il più difficile e impegnativo. In tale contesto lavorare con sano e autentico spirito repubblicano dovrebbe rappresentare il riferimento costante di ciascuno per non pregiudicare la coesione sociale, vero antidoto rispetto alle forze disgregatrici, e che per la Cna è da sempre un valore inalienabile. E invece spesso si manifesta la tentazione irresistibile di ridurre e semplificare il confronto politico, trasformare l’Agorà in una specie di social network, un centrifugato dove gli unici sapori che si distinguono sono la polemica di piccolo cabotaggio e i tatticismi mentre si annacquano il coraggio delle scelte e la visione del domani.
Autocitarsi non è un esercizio di umiltà intellettuale, ma oltre un anno fa su queste pagine sostenevo che la guerra al virus richiedeva condivisione e collaborazione a tutti i livelli mentre il rilancio economico e sociale passava attraverso debito pubblico allocato con efficienza, nel breve, visione e progetti nel segno di una netta discontinuità sul lungo termine. Una sfida complessa ma non rinviabile per modernizzare l’Italia e l’Europa, per uscire da una sorta di letargo e rimettere il paese al centro dello scacchiere globale e inserito nelle traiettorie di sviluppo. Una sfida che poteva contare sul contributo prezioso dei corpi intermedi, della rappresentanza, strumento fondamentale per conseguire il bene comune superando la logica degli interessi molecolari.
Con una punta di orgoglio si deve riconoscere che le forze sociali, nel complesso, hanno mostrato un elevato senso di responsabilità e trasparenza evitando di alimentare e strumentalizzare la disperazione che serpeggia tra i cittadini e le imprese, stremati dalla pandemia ma che hanno dimostrato una straordinaria e forse impensabile capacità di resistere.
Ritardi, incertezze e confusione hanno contrassegnato la gestione della pandemia in Italia e in Europa, a differenza di altre realtà dove pragmatismo, rapidità e flessibilità sono gli attrezzi che hanno ispirato ogni decisione. La campagna vaccinale è l’emblema del disorientamento che stanno vivendo i cittadini europei tra annunci spesso contraddittori fra loro e atteggiamenti pilateschi da parte delle istituzioni sanitarie.
Il Next Generation Eu è stato presentato un anno fa ipotizzando una rapida uscita dalla crisi pandemica ma le prime risorse forse arriveranno a luglio, sempre che la Corte Suprema tedesca la smetta di trattare con diffidente ostilità ogni nuovo progresso verso l’integrazione europea.
Il successo del piano è vitale per realizzare investimenti prioritari ma è decisivo anche per le aspirazioni politiche del vecchio continente verso l’agognata creazione di un vero bilancio federale europeo che procede con un gradualismo un po’ pasticciato. L’Italia è determinante, essendo il principale beneficiario. Il Recovery Plan in via di presentazione dovrà assicurare la compatibilità con le regole e le indicazioni europee ma soprattutto dovrà essere realizzabile nei tempi previsti. Per queste ragioni è importante una allocazione efficiente delle cospicue risorse ma è dirimente una questione che resta sullo sfondo: come semplificare la disciplina italiana.
Dopo l’autorevole professor Sabino Cassese anche l’Antitrust ha sposato la posizione di sospendere il Codice degli appalti e applicare direttamente la normativa europea. Il fattore tempo dovrebbe consigliare di intervenire sui dettagli piuttosto che scrivere maxi riforme. Adottare procedure in deroga per realizzare i numerosi progetti del Pnrr senza gridare allo scandalo. Semplificare è tremendamente complesso specialmente in un paese che soffre stratificazioni e incrostazioni di regole che scoraggiano le energie imprenditoriali ma tutelano rendite di posizioni immotivate e incompatibili con la modernità. Così accade che il Consiglio di stato accolga il ricorso per cancellare un decreto del 2016 che consentiva di avviare una start-up senza atto notarile. Un ritorno al passato in evidente contraddizione con la discussione in corso sul recepimento della direttiva europea per l’istituzione dello sportello digitale unico.
Anche sul fisco si guarda il dito invece della luna. Nella classifica della Banca mondiale sulla complessità dei sistemi tributari siamo al 128esimo posto dopo il Mozambico. La Grecia, che non è un modello di efficienza fiscale, ci precede di ben 56 posizioni, la Spagna di 93. Per colmare il divario con i virtuosi non servono modelli fiscali ex novo, bensì un pragmatico e graduale riformismo. A oltre un anno dall’esplosione della pandemia siamo al terzo cambiamento dei meccanismi per l’erogazione dei contributi a fondo perduto senza avere ancora raggiunto un sistema soddisfacente e soprattutto non discriminante.
Per non dire del complicato rapporto tra stato e regioni, dalle misure di contenimento del virus al piano vaccinale, che sta innescando il dibattito sull’ennesima riforma dell’architettura istituzionale. La centralità dello stato nella gestione delle misure contro la pandemia è fuori discussione. Le difficoltà tuttavia non sono di natura istituzionale, piuttosto di execution (mi perdonerà il premier Draghi), cioè quell’insieme di indicazioni esecutive e controlli che non si possono improvvisare ma che dopo 14 mesi avrebbero dovuto rappresentare un meccanismo ben rodato.
Rimaniamo con vigile fiducia ma il tempo è la vera risorsa scarsa.
Sergio Silvestrini
segretario generale Cna