Editoriali
Mediaset allontana il nazionalismo
La pace con Vivendi apre una nuova èra e rilancia il Biscione in Europa
In un video anni 80 un Pier Silvio Berlusconi ventenne si aggira tra le ragazze fast food di “Drive In”, con look alla Fonzie ma capello biondo, telefonando al papà da un apparecchio Sip a gettoni. Piena simbologia della tv commerciale dell’epoca, non tanto per il trash di Antonio Ricci quanto per il “pronto papà” che designa l’uomo solo al comando. Da anni il Cav. ha delegato i poteri in Mediaset, restandone padrone, come in Forza Italia. E da anni cerca di far fare alla sua azienda un salto di livello europeo, esattamente come al partito, unico europeista del centrodestra italiano, spesso anche più del Pd. Del resto se David Sassoli è presidente dell’Europarlamento, Silvio Berlusconi ci aveva insediato Antonio Tajani, e se FI aveva sostenuto il governo Monti e poi fatto nascere quello di Enrico Letta, oggi è il più convinto supporter di Mario Draghi.
Per Mediaset l’orizzonte europeo riprende slancio dopo il faticosissimo accordo con Vivendi, che impegna il gruppo di Vincent Bolloré a vendere il proprio 29,9 per cento con il quale ha finora contrastato le mosse continentali degli italiani, passate per l’acquisto della tedesca ProSiebenSat.1 e il trasferimento in Olanda della sede legale. Parallelamente mai come oggi è stata così netta la distanza sul come stare in Europa tra FI da una parte e la Lega by Salvini e FdI by Meloni, due movimenti che restano nazionalisti. Semplificando si potrebbe dire che se un Berlusconi al tramonto personale ma pugnace, abbandonate le lagne dei complotti franco-tedeschi, vede in Draghi un fine e non un mezzo, per Salvini si tratta del contrario, un mezzo per essere della partita e poi riprovarci con il sovranismo. Quello politico può essere però un sogno per il Cav., mentre quello aziendale è un’urgenza indifferibile. Nei media c’è poco spazio per una tv generalista e nazionalpopolare, un tratto che Mediaset cerca di abbandonare con alterne fortune. Per competere con Netflix, Amazon, Disney servono contenuti vendibili in tutto il mondo; forse neppure l’Europa può più bastare ma deve provarci.