Rebus green pass, cosa verrà richiesto a bar e ristoranti
Chi deve controllare il certificato? Servirà controllare il documento d'identità? Cosa dice il dpcm e cosa hanno detto la ministra Lamorgese e il garante della Privacy, tra il disorientamento dei ristoratori
Minoranza no vax a parte, sulla sostanza c'è ampio consenso: il green pass è lo strumento del compromesso che potrà permettere all'Italia di tenere sotto controllo l'andamento dei contagi senza tornare alla stagione delle chiusure. Ma la forma, a meno di una settimana dall'entrata in vigore del decreto parlamentare in materia, è ancora da rivedere. Uno su tutti, che preme molto al settore della ristorazione ma su cui il ministero dell'Interno non ha contribuito a fare chiarezza: chi è tenuto a verificare il green pass? Il punto della situazione, in attesa della circolare a firma del capo del gabinetto del Viminale Bruno Frattasi che nelle prossime ore dovrà superare l'impasse.
Cosa dice il testo del dpcm green pass
Il grande equivoco è all'articolo 13, dove al comma 1 si dichiara che "La verifica delle certificazioni verdi Covid-19 è effettuata mediante la lettura del codice a barre bidimensionale [...] che consente unicamente di controllare l'autenticità, la validità e l'integrità della certificazione, e di conoscere le generalità dell'intestatario, senza rendere visibili le informazioni che hanno determinato l'emissione". Poi al comma 4 si aggiunge: "L'intestatario della certificazione verde Covid-19 all'atto della verifica di cui al coma 1 dimostra, a richiesta dei verificatori [...], la propria identità personale mediante l'esibizione di un documento di identità". Il che sembra pacifico per attività quali centri benessere o parchi di divertimento dove i controlli all'ingresso sono previsti di default. Ma per bar e ristoranti, tra i luoghi centrali del provvedimento green pass, cosa vorrebbe dire? "Dovremmo diventare sceriffi?", si interrogano i gestori.
Le dichiarazioni di Lamorgese e del garante della Privacy
Nella giornata di lunedì ha risposto direttamente il ministro dell'Interno: "La regola è che venga richiesto il green pass senza il documento di identità", la spiegazione di Luciana Lamorgese, in contrasto con il comma 4. "Andare al ristorante con il green pass è come andare al cinema e mostrare il biglietto. Nessuno pretende che gli esercenti chiedano i documenti, i ristoratori non devono fare i poliziotti". Per questo ci saranno "controlli a campione nei locali insieme alla polizia amministrativa". E per superare gli equivoci il ministro ha annunciato una circolare di chiarimento, su cui è al lavoro il Viminale.
Oggi pomeriggio intanto si è espresso anche il garante della Privacy: "Le figure autorizzate alla verifica dell'identità personale sono quelle indicate nell'articolo 13 del dpcm con le modalità in esso indicate, salvo ulteriori modifiche che dovessero sopravvenire". E dunque anche "i titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi": la mediazione normativa in arrivo porrà l'enfasi sul potere e non sul dovere da parte dei gestori, salvo situazioni di palese violazione.
"Ora serve una norma", dice Calugi di Confcommercio
A stretto giro è arrivato il commento dal settore della ristorazione. "Apprezziamo le parole del ministro Lamorgese", spiega Roberto Calugi, direttore generale della Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe) di Confcommercio. "Non può spettare ai gestori il controllo dei documenti, perché questo andrebbe oltre i loro doveri. Ma è bene che si faccia chiarezza: se cliente mostra un green pass di un’altra persona e viene scoperto nei controlli a campione della polizia, un barista non può esserne responsabile e rischiare a sua volta una sanzione. È dunque necessario intervenire sul quadro sanzionatorio: si modifichi la norma o almeno si diffonda una circolare ministeriale. L'obbligo di green pass resta una misura restrittiva non indolore per il nostro comparto e a maggior ragione chiediamo certe tutele a riguardo".
Sullo sfondo c'è sempre la crisi economica. Nelle ultime settimane lo stesso Calugi aveva sostenuto che "la campagna vaccinale va incoraggiata e possibilmente velocizzata. Questa è la nostra migliore arma per un ritorno alla stabilità delle nostre vite. Quello che tuttavia non è accettabile è che, per raggiungere l’immunità di gregge, si finisca per penalizzare sempre le solite categorie. I pubblici esercizi hanno pagato più di ogni altro settore nei 16 mesi della pandemia, sia in termini di perdita di fatturati che in termini di posti di lavoro. Andare ancora una volta a pesare sulle nostre attività significa compromettere la ripartenza e allontanare le migliaia di professionisti che stavano tornando pian piano ad avere fiducia e a mettere le loro competenze a disposizione dei locali".
Ristorazione, i numeri di un settore in ginocchio
Tra lockdown e riaperture contingentate, bar e ristoranti sono tra gli esercizi ad aver accusato maggiormente l'ultimo anno e mezzo (non solo in Italia). Le offerte di lavoro tra marzo e giugno 2020 si sono dimezzate e di nuovo dal settembre al gennaio successivi, da circa 40.000 a 20.000 mensili: più di qualsiasi altro tipo di impiego eccetto quelli più strettamente turistici. Un crollo analogo si è registrato sulle prenotazioni nei locali, -50 per cento in media nel 2020 rispetto al 2019. Fipe-Confcommercio agisce negli interessi di categoria ma con i dati dalla sua parte. Anche per questo, togliere ogni dubbio attorno al green pass farebbe il gioco del green pass stesso.