Editoriali

Nel “liberi tutti” cresce l'occupazione

Redazione

I dati Istat dopo lo sblocco dei licenziamenti. E’ ora di rivedere il reddito di cittadinanza

Lo sblocco dei licenziamenti in vigore dal 30 giugno non ha frenato l’occupazione. Mentre gli allentamenti, il 25 luglio, dei vincoli al decreto “Dignità” (cavallo di battaglia dei 5 stelle quando governavano con la Lega) non impediscono un trend positivo nell’aumento di contratti a tempo indeterminato. E’ quanto risulta dai dati Istat che registrano a luglio un aumento di 24 mila rapporti di lavoro dipendente, egualmente ripartiti tra stabili e a termine. Sono 550 mila posti di lavoro in più a partire da gennaio, il che fa calare la disoccupazione al 9,3 per cento e al 27,7 quella giovanile. Non è del tutto recuperato l’effetto Covid, mancano all’appello 260 mila posti di lavoro, un terzo.

Tra i giovani dai 15 ai 24 anni, presi a riferimento per le statistiche europee, l’indice di disoccupazione è anche migliore rispetto al 2019, che chiuse al 31,4 per cento, terzultimo peggior risultato d’Europa. In peggioramento i dati dei lavoratori autonomi (meno 62 mila) ma nell’insieme abbiamo un tasso di occupazione in miglioramento del 2 per cento. Abolito il divieto di licenziare e stretti i freni sulla cassa integrazione, e infine modificati i vincoli del decreto “Dignità” – vincoli che avrebbero impedito l’assunzione di personale stagionale nel culmine dell’estate – il governo Draghi ha annunciato l’intenzione di riaprire il dossier lavoro. I dati diffusi ieri dimostrano che blocchi e assistenza a oltranza non solo non servono nella fase di ripresa economica, ma sono anche controproducenti per la ripresa stessa.

Stesso discorso per la revisione del Reddito di cittadinanza, visto che tra le percentuali negative c’è quella di chi non cerca lavoro (in aumento tra giugno e luglio dello 0,2 per cento, in tutte le classi d’età a eccezione dei 25-34enni: in pratica chi inizia la vita attiva). Mentre l’aumento del tasso di occupazione che comunque vede l’Italia ancora in coda all’Europa porta a un ripensamento anche di Quota 100, compreso in generale il senso di elargire pensioni pubbliche ai poco più che 60enni.

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