Emmanuel Macron visita il sito di produzione del reattore nucleare di Framatome a Le Creusot (LaPresse) 

editoriali

La carta nucleare di Macron: sei nuovi reattori per la sfida della transizione energetica

Redazione

Il dossier rimbalza a Bruxelles, dove si stanno consumando gli ultimi scontri sulla definizione di investimenti sostenibili: l’eventuale esclusione del nucleare renderebbe proibitivo il costo del capitale per i nuovi impianti. Nove paesi sono schierati con Parigi. E l’Italia?

Emmanuel Macron torna a parlare di energia e, secondo il quotidiano francese Le Figaro, è pronto ad annunciare sei nuovi reattori nucleari Epr. Si tratta di una vera bomba destinata ad alzare il tono del dibattito in vista delle elezioni dell’anno prossimo. Infatti, la notizia arriva pochi giorni dopo il lancio di France 2030, il programma con cui Macron intende rilanciare la crescita e perseguire la transizione verde. In quella sede, l’inquilino dell’Eliseo aveva impegnato un miliardo di euro per la realizzazione di reattori nucleari di piccole dimensioni, anche al fine di posizionare la Francia al cuore del nascente business dell’idrogeno senza emissioni. 

    
In verità, la notizia del Figaro non è del tutto inedita. Alcune settimane fa la ministra dell’Industria, Agnes Pannier-Runacher, aveva aperto alla realizzazione di sei nuovi Epr, nonostante l’entrata in esercizio dell’unico attualmente in costruzione – a Flamanville – sia attesa per il 2024, con più di dieci anni di ritardo e costi in continua crescita. Proprio la delusione di Flamanville aveva indotto Macron, e in generale la politica francese, a disamorarsi dell’atomo, tanto che l’Eliseo aveva messo in conto una riduzione del suo contributo al totale della produzione elettrica dall’attuale 70 per cento al 50 per cento entro il 2035. Inoltre, l’avvio di nuovi investimenti era subordinato al completamento di quello di Flamanville. Evidentemente, la morsa energetica che stringe l’Europa, assieme all’adrenalina pre-elettorale, ha spinto Macron alla svolta. Questo avrà implicazioni importanti a livello nazionale ed europeo, ma dovrebbe indurre anche il resto dell’Unione europea a porsi delle domande. A partire dall’Italia, che con la Francia ha un ovvio legame e che del nucleare francese è una forte importatrice. 

   
A Parigi, la scelta di Macron costringerà anche i suoi avversari a prendere una posizione. Sarà molto difficile, adesso, eludere la faccenda, visto che i rincari – destinati a protrarsi nei prossimi mesi – rendono la questione energetica assolutamente centrale nel dibattito pubblico. E sarà anche difficile schierarsi contro, visto che smarcarsi dal nucleare vorrebbe dire quasi inevitabilmente aumentare i consumi di gas e, dunque, le emissioni di CO2, oltre agli eventuali impatti sui costi. Ma il dossier rimbalza immediatamente a Bruxelles, dove si stanno consumando in questi giorni gli ultimi scontri sulla tassonomia degli investimenti sostenibili: l’eventuale esclusione del nucleare renderebbe proibitivo il costo del capitale per i nuovi impianti, facendo naufragare non solo il disegno di Macron, ma l’intera politica energetica francese. Al momento, altri nove paesi si sono schierati con la Francia: Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Romania. E l’Italia?

   
Al momento il governo Draghi non ha scoperto le sue carte. È evidente che si tratta di un tema estremamente divisivo all’interno della maggioranza, dove l’opposizione al nucleare è trasversale (sebbene più marcata a sinistra che a destra). Non essendo un produttore di energia nucleare, l’Italia potrebbe persino disinteressarsene, ma sarebbe un segno di miopia. Sarebbe miope, anzitutto, perché tagliare il nucleare dal mix europeo è incoerente con l’aspirazione a fare del Vecchio continente l’hub della transizione ecologica. Inoltre, renderebbe più lunga, difficile e costosa la strada da percorrere, perché oltre alle fonti fossili, dovremmo sostituire anche il nucleare. Oltre tutto, il governo italiano non può nascondersi dietro l’alibi dell’ignoranza: il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, conosce perfettamente tutte queste cose e, anzi, più volte si è coraggiosamente espresso. In campo energetico, Macron ha messo un’ipoteca sulla leadership europea in un momento in cui l’Ue non sembra capace di trovare un compromesso tra obiettivi velleitari e la resistenza a ogni cambiamento. Se c’è uno strumento che può aiutare a colmare il gap tra la realtà e l’ambizione è il nucleare. Vive la France, vive le nucléaire!