editoriali
La sfida europea alla Via della seta
La Global Gateway e i 300 miliardi in infrastrutture. Bene, ma non basta
Secondo l’Ue dovrebbe diventare l’alternativa verde, sostenibile e soprattutto democratica alla Nuova via della seta: Global Gateway contro Belt and Road Initiative. Vasto progetto, forse non abbastanza vasto e, probabilmente, in ritardo di una decina d’anni. Con un vantaggio: la spinta propulsiva cinese si è indebolita, l’immagine stessa della Cina s’è appannata anche in Africa, i paesi dell’Asia centrale nicchiano e in gran parte del sud-est asiatico emergono dubbi e soprattutto timori.
Ma cosa vuole fare la Ue? La Commissione ha intenzione di mobilitare 300 miliardi di euro entro il 2027 per investimenti soprattutto in infrastrutture e servizi nei paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa storico mercato europeo sempre più insidiato da Pechino. Le risorse provengono per lo più dal bilancio comunitario, dagli stati dell’Unione, dalle istituzioni finanziarie europee e dalle banche per lo sviluppo. La Bei sarebbe al centro del progetto, circa 135 miliardi verranno da uno speciale fondo per lo sviluppo sostenibile, altri 18 da programmi ad hoc, secondo le cifre provvisorie pubblicate dal Financial Times. Basteranno? Dipende.
Sulla carta la Belt and Road Initiative mette in campo migliaia di miliardi di dollari (6.000?), anche se stime più realistiche parlano di “appena” 400 miliardi molti dei quali sotto forma di prestiti. La Cina, comunque, è in grado di operare su scala più ampia rispetto alla Ue, soprattutto nel continente asiatico che considera il “cortile di casa” e in Oceania, di qui i timori dell’Australia che ha stipulato accordi militari con Usa e Uk, come quello per i sottomarini nucleari.
A settembre la Ue ha annunciato una nuova strategia verso i paesi dell’Indo-Pacifico per rafforzare i legami con India, Giappone e Taiwan, tuttavia può fornire solo soft power, ma nessun appoggio militare finché non avrà le sue forze armate. Detto questo, il progetto rappresenta un salto di qualità per una Ue che si è autoproclamata “fortezza” e non ha mai cercato alcuna proiezione geopolitica che non fosse all’interno del Vecchio continente.