EDITORIALI
Le imprese che falliscono sono di meno, nonostante la pandemia
Lo studio della Banca d'Italia: sono finite in liquidazione poco meno di 7.400 imprese, a fronte di quasi 11 mila nel 2019
Nel 2020, primo anno di Covid, ci sono stati meno fallimenti e meno uscite dal mercato delle imprese: sono finite in liquidazione poco meno di 7.400 imprese, a fronte di quasi 11 mila nel 2019. Lo indica una nota della Banca d’Italia, citando “le misure di sostegno adottate dal governo”. Senza intervento pubblico, secondo l’elaborazione di alcuni scenari di evoluzione dei fallimenti a breve termine, il numero avrebbe potuto superare le 12 mila unità, quasi 4.800 in più rispetto ai fallimenti effettivamente osservati. Si tratta comunque di un numero non molto superiore, un migliaio, rispetto alle chiusure d’impresa dell’ultimo anno pre pandemia. Estendendo poi al 2021 l’analisi dell’evoluzione di questo fenomeno, le nuove iscrizioni d’impresa alle camere di commercio sono state 332.596, il 14 per cento in più dell’anno precedente preso in considerazione da Bankitalia.
Sono dati questi di Movimprese, che ha utilizzato statistiche di Unioncamere e Infocamere: alla ripresa delle iscrizioni non ha fatto riscontro il ritorno a un fisiologico flusso di cancellazioni dai registri, determinando un “effetto surplace” nelle chiusure di aziende. Le 246 mila cessazioni di attività tra gennaio e dicembre scorsi costituiscono anzi il valore più basso da 15 anni a questa parte e il saldo annuale è positivo per 86.587 unità, benché sia ancora influenzato dagli effetti della congiuntura sanitaria. Il Mezzogiorno è l’area che registra nel 2021 il maggior numero di nuove imprese: quasi 109 mila lo scorso anno, a fronte di 72 mila cessazioni. Il risultato è un saldo positivo di poco meno di 37 mila unità, per un terzo in Campania. Ciò che in particolare sta tenendo sono le imprese familiari e dell’agricoltura, a sua volta in piena evoluzione, come dimostra l’aumento delle vendite di trattori e macchine agricole di ultima generazione. Anche qui incombono il caro energia e l’inflazione. Ma fra nuove tecnologie, aumento di occupazione giovanile (con picchi del 5 per cento) e i 7 miliardi di investimenti europei, il surplace potrebbe trasformarsi in una volata.