editoriali
La crescita alla prova del Draghi bis
Il pil vola, ma per il salto di qualità serve uno sforzo ulteriore sulle riforme
Il pil italiano del 2021 è cresciuto del 6,5 per cento, miglior risultato dal 1976, quando però venne annullato dall’inflazione al 16,8 per cento per via dello choc petrolifero e della fuga di capitali causa terrorismo. Ere non confrontabili. Il vero paragone è con l’8,9 per cento di ricchezza persa nel 2020, e dunque fin qui, pur applaudendo, siamo a due terzi del tragitto. Il resto dovrà propiziarlo il ticket rinnovato fra Mario Draghi e Sergio Mattarella, con i punti di forza e di debolezza che sappiamo. La crescita acquisita per il 2022 è già del 2,4 per cento grazie a un quarto trimestre dello scorso anno in aumento dello 0,6 per cento sul precedente, e statisticamente il recupero ci sarebbe. Ma nei prossimi mesi non ci si può accontentare di galleggiare. Dopo il rimbalzo si tornerebbe ai decimali di crescita degli anni pre-Covid: nel 2019 con lo 0,1 per cento l’Italia fu in coda fra i paesi europei.
E a proposito di raffronti, nel 2021 dietro alla performance italiana si segnala il 6,1 per cento della Svezia, il 5,6 del Belgio, il 5,4 di Francia e Austria. In coda la Germania con l’1,4. Su base congiunturale, guardando cioè al quarto trimestre, l’Italia fa meglio dell’Eurozona (0,3 per cento) e della media Ue (0,4 per cento) e rispetto agli altri è sotto a Spagna, Portogallo e Francia, ma va meglio di Germania e Austria in calo dello 0,7 e del 2,2. Percentuali anche influenzate dalle maggiori (Austria) o minori restrizioni – in Italia senz’altro maggiori e durature. Però a guardare l’economia reale una logica c’è: la manifattura, i servizi e l’export sono la costante nelle maggiori crescite, mentre la crisi dell’auto (che tocca anche noi), della finanza e dei servizi zavorrano la Germania. Un altro dato riguarda tre paesi – Francia, Spagna e Portogallo – che hanno mitigato le tasse e introdotto caute liberalizzazioni. In Italia le riforme sono state fin qui sostituite dai sussidi ai settori in crisi: e anche nel passare dai sostegni a un fisco meno vessatorio e alla concorrenza si misurerà il successo del Draghi bis, il cui ministro dell’Economia, Daniele Franco, prevede un 2022 con ulteriore crescita sopra il 4 per cento.