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editoriali

Great resignation all'italiana

Redazione

Le dimissioni spontanee dal posto di lavoro non sono una moda, ma un problema

"Great resignation" è un fenomeno partito dagli Stati Uniti che indica l’abbandono volontario del lavoro durante la pandemia, e soprattutto in seguito per assuefazione allo smart working o per beneficiare più a lungo dei sussidi pubblici considerando anche che lasciato un impiego è più facile, lì, trovarne un altro. Oltre Atlantico si è arrivati a novembre 2021 con 4,53 milioni di dimissioni e altri 4,39 a dicembre.

 

Ma che dire dell’Italia? Tra gennaio e ottobre 2021 l’abbandono volontario ha riguardato 5,13 milioni di posti, dei quali solo la minima parte con contratti a termine o stagionali. Eppure il blocco dei licenziamenti scaduto il 31 dicembre secondo i richiedenti doveva garantire la tenuta dell’occupazione, e dunque contrastare un dilagare della disoccupazione che non c’è stato. Evidentemente non era questo il problema.

  

Che cosa sta accadendo allora? Una fotografia accurata la fornisce l’osservatorio Veneto Lavoro della regione amministrata da Luca Zaia. Il report di febbraio segnala che a gennaio 2022, quando è finita anche la cassa integrazione Covid, i licenziamenti per vario tipo sono stati inferiori al gennaio 2020, ultimo mese pre Covid: 5.671 contro 6.657; al contrario le dimissioni spontanee sono state 16.708 contro le 14.094 di due anni fa. Questo ha determinato un saldo negativo tra assunzioni e cessazioni che va ad aggiungersi al crescente divario (qui presente in tutti i settori a eccezione di quello agricolo) tra offerta e domanda di lavoro che riguarda l’intero paese. Il tutto in una regione il cui pil è risultato nel 2021 superiore (6,9 per cento) a quello già in forte ripresa dell’Italia, mentre il numero di aziende attive (429.779) è, a fine dicembre, del tutto analogo a quello del 2019.

 

La Great resignation declinata all’italiana è per di più diversa da quella americana, per il minore intervento dell’assistenza pubblica e per un mercato del lavoro più ingessato. E’ il momento che governo, partiti, mass media e sindacati la smettano di descriverla quasi come fosse una moda a cui lisciare il pelo, anziché come un’altra variante del Covid.