editoriali
Un pragmatismo Mite
Cingolani dice che studio e realismo servono all’ambiente più dell’ideologia
Intervistato da Corriere Tv sullo stato in Italia di produzione e approvvigionamento di auto elettriche (partendo dalla conversione di Stellantis dello stabilimento di Termoli in gigafactory per batterie agli ioni di litio), il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha scelto la strada della concretezza anziché quella delle facili promesse e della demonizzazione di alcune tecnologie. A cominciare dal nucleare. Il che non vuol dire costruire nuove centrali ma almeno spiegare la realtà.
Sull’inserimento dell’atomo nella tassonomia europea (gli investimenti considerati eco-sostenibili) ha detto: “Visto che 14 paesi usano il nucleare non si può far finta che non esistano. Non partirei con un piano nucleare di vecchia generazione ma nei prossimi 15 anni vedremo gli sviluppi dei reattori più piccoli a fusione. E con il risultato raggiunto da Eurofusion – il reattore nell’Oxfordshire che in partnership con l’Ue ha ottenuto risultati record nella produzione di energia analoga a quella solare – da qui a un decennio dovremo riprendere certe riflessioni”. La sintesi è: “Dobbiamo diventare un paese tecnologicamente neutro, non tecnologicamente ideologico”.
Anche sull’auto elettrica Cingolani si è messo dalla parte della realtà. Citando Akio Toyoda, presidente della Toyota (il colosso giapponese è stato il primo a cimentarsi nei motori “puliti”): “Ha detto che la soluzione non può essere solo full electric visto che il ciclo di vita dell’auto non è da quando esce dal concessionario ma da quando si estraggono litio e cobalto. Ne risulta un pareggio con un motore endotermico di ultima generazione verso i 70-80 mila chilometri”. Senza contare il lungo ciclo di smaltimento delle batterie. Insomma, “la tecnologia, come la natura, non fa salti”. L’Italia è tra i paesi che hanno fissato gli obiettivi di abbandono dei motori termici al 2035 per le auto e al 2040 per i veicoli commerciali, mentre i non produttori chiedono il 2030. “Ma nel Parlamento europeo sarà una lunga battaglia”. Si spera non ideologica.
tra debito e crescita