editoriali
La globalizzazione non finisce a Mosca
La guerra riporta all’autarchia, ma riorienta gli investimenti. Analisi del Ft
La guerra in Ucraina è un colpo alla globalizzazione? Addirittura (stessa accusa già mossa per il Covid) dipende dalla globalizzazione? No, anzi può costituire un’opportunità perché molte delle aziende che operano in Russia e Ucraina dovranno poi trovare altri sbocchi e altri luoghi in cui produrre; soprattutto se si irrobustissero le sanzioni al regime di Mosca. Questo suggerisce un’analisi del Financial Times dal titolo “Come la guerra sta cambiando il business”. Può apparire a molte anime belle cinico, ma si tratta dell’opposto perché guarda al domani, al dopoguerra. Senza contare la ricostruzione dell’Ucraina che certamente non potrà essere fatta dai russi. “Le aziende hanno bisogno di muovere verso nuove aree di produzione e consumo” dicono analisti e manager sentiti dal quotidiano londinese. Casi tipici sono big che non hanno ancora lasciato la Russia, se non in parte e in attesa di sviluppi. Per esempio Pirelli, Renault, Leroy Merlin, Total.
La loro visione è che ci sarà ancora bisogno di un mercato russo, ma senza dipendervi in maniera rilevante. Renault produce in Russia la linea Lada-Dacia: nel 2020 ha venduto 660 mila veicoli, e i guai negli approvvigionamenti erano sorti ben prima della guerra mentre la fabbrica di Mosca è stata temporaneamente chiusa il 28 febbraio. Mercedes ha dipendenti e manager in Ucraina, con l’intenzione di restare. New Balance, scarpe sportive, ha deciso di aprire impianti in Massachusetts puntando su una domanda “made in America”. Ma non è in vista un nuovo nazionalismo industriale. Intel, per affrancarsi dalla Cina ha investito 100 milioni di dollari in Ohio, ma ben 4,5 miliardi in Italia come parte di una strategia europea di 33 miliardi. Appare sempre più chiaro che la globalizzazione non si sta resettando come dopo il 1990, scrive il Ft. Con la caduta del Muro di Berlino vi fu una corsa verso est. La nuova, e forse più matura, globalizzazione punterà su Europa, Australia, Giappone e “ovunque ci sia mercato, capitali, consumatori”; nonché meno rischio geopolitico.
tra debito e crescita