editoriali
Come liberarci dal gas di Putin, spiegato da Cingolani
Il piano del ministro della Transizione ecologica è fatto di sano pragmatismo, per non restare inermi
"Trattiamo con sette stati per coperture che in tempi abbastanza rapidi sostituiranno il gas della Russia”, ha detto ieri alla Camera il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. A trattative in corso il ministro non si è soffermato sui singoli fornitori, ma i negoziati sono con Algeria, Usa, Azerbaigian (per il raddoppio della capacità del Tap), Canada, Cipro e Israele (per il nuovo gasdotto Poseidon) e Norvegia. Da Usa e Canada arriverebbe gas via nave per i nostri rigassificatori, attualmente tre: “Che vanno avanti al 60 per cento e d’estate non producono. Li manderemo al 100 per cento e produrranno 4-5 miliardi di metri cubi in più. Un altro miliardo e mezzo verrà dall’ottimizzazione del Tap”.
Questa azione, delle quattro in questa fase, è l’ottimizzazione della nostra capacità produttiva e vale appunto 6 miliardi di metri cubi. Altre sono l’aumento da giacimenti già esistenti per altri due miliardi e l’installazione di due altri rigassificatori galleggianti, per un totale di ulteriori 12 miliardi di metri cubi. Siamo a 18 miliardi su 30 che importiamo dalla Russia. Una quota ulteriore di energia verrà dalla partnership energetica con la Francia. Cingolani non ha citato espressamente il Poseidon con capacità doppia rispetto al Tap, e che dovrebbe colmare il gap. Ma ha parlato di “ormai manifesta inaffidabilità della partnership russa che richiede un cambiamento molto forte. Cioè in 24-36 mesi saremo indipendenti. Ma se anche l’import venisse interrotto domani avremo riserve per tre-quattro mesi”.
Un piano pragmatico, ragionevole e che supera l’emotività del momento (a sua volta alibi per i putiniani a non fare nulla). C’è bisogno di questo da parte del governo. Anche tenendo conto di quanto appena pubblicato dal Consiglio di esperti economici dell’esecutivo tedesco: perfino un taglio netto dell’import di gas dalla Russia avrebbe sulle economie europee effetti molto minori della crisi del debito 2010-2013. Per l’Italia di circa un terzo, ma con un cambio di scenario strategico e comportamenti molto più virtuosi.