editoriali

Se Elliott è stanco dell'Italia

Redazione

La  vendita del Milan è un buon affare, in un paese che blocca lo sport

Come ben sanno i supporter del Milan, le indiscrezioni sulla possibile vendita della squadra da parte del fondo americano Elliott si susseguono come le stagioni. Questa volta però, la notizia arriva dal francese Équipe (poi confermata da Bloomberg, Forbes e Financial Times), l’ipotesi sembra più documentata del solito. C’è una valutazione lusinghiera, 1,1 miliardi – i conti del club sono abbastanza in ordine, ben oltre la media nazionale – e ci sarebbe un acquirente, un fondo stavolta mediorientale: Investcorp con sede in Bahrein, parte del fondo sovrano Mubadala Investment Co., con un portafogli da 40 miliardi di dollari. Come sanno i tifosi del Milan, Elliott – che divenne proprietario del club perché la precedente società non aveva rimborsato un prestito da 400 milioni – non ha mai fatto mistero di voler “valorizzare” in un tempo ragionevole l’asset (cinque anni la media dei suoi affari, ne sono passati quattro) e poi cederlo: non sono né mecenati né sceicchi spendaccioni né una società interessata al business sportivo.

Secondo le indiscrezioni a far accelerare l’operazione ci sarebbe anche un faro acceso dalla Uefa sulla proprietà del Lille, in Francia, che – come ben sanno i tifosi del Milan – ha un legame stretto con Elliott. Si attendono sviluppi, ma già ora si può notare un aspetto. Uno degli atout di crescita del valore del club su cui Elliott puntava – in questo esattamente come il gruppo cinese Suning che possiede l’Inter – era il progetto del nuovo stadio collegato a un grande sviluppo immobiliare dell’area di San Siro. Sono passati più di mille giorni, come ha denunciato giorni fa il presidente del Milan Paolo Scaroni, e i club non hanno avuto nemmeno una risposta. Anzi, hanno maturato l’evidenza di un ostruzionismo politico che durerà a lungo. Non si può attendere altri mille giorni, tenendo in stand-by una società che può valere un miliardo e più. Se si fanno avanti i generosi acquirenti del Bahrein, tanto vale monetizzare subito rinunciando al progetto. Oltre a essere una scelta logica, sarebbe l’ennesima certificazione che l’Italia è terra ostile per il business, quello sportivo in particolare. Una partita persa.

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