editoriali
Fermare i motori diesel e benzina? Calma. Oggi il voto al Parlamento Ue
La decarbonizzazione è giusta, ma i tempi contano e le casa automobilistiche si stanno già muovendo. I rischi di un approccio massimalista
Oggi il Parlamento europeo deciderà se bandire i motori a combustione interna a partire dal 2035. Si tratta di un tassello del pacchetto “Fit for 55”, con cui l’Unione intende tagliare le emissioni di gas serra del 55 per cento entro il 2030 per arrivare alla neutralità climatica nel 2050. Le auto private sono responsabili del 12 per cento di tutte le emissioni europee di gas climalteranti; i veicoli commerciali leggeri del 2,5 per cento. E’ quindi naturale che la decarbonizzazione dei trasporti sia al centro della politica ambientale europea. Questo è ancor più vero alla luce degli sviluppi in Ucraina e delle sanzioni sul greggio russo, che mettono sotto pressione la domanda di prodotti petroliferi.
Ma un approccio tanto radicale è davvero sensato? La politica italiana ed europea si è divisa in modo profondo, non tanto sull’obiettivo, quanto sulle modalità con cui arrivare al risultato. Lo si è visto plasticamente ieri in uno scambio di tweet tra Enrico Letta e Carlo Calenda. Il segretario del Pd ha schierato il suo partito a favore di un approccio massimalista. Il leader di Azione gli ha replicato che “non considerando biocarburanti e impatto su catena di fornitura (dipendenza da batterie cinesi) [il piano Ue] distruggerà la filiera automotive/veicoli commerciali”. Una posizione sostanzialmente allineata con le tesi espresse in passato dai ministri Giancarlo Giorgetti e Roberto Cingolani.
Forse i timori sull’incapacità dell’industria europea di reagire sono eccessivi: del resto, le stesse case automobilistiche si stanno muovendo per ridisegnare le loro proposte commerciali. Ma certo ignorare le implicazioni del bando – e ignorare pregiudizialmente altre tecnologie a basse emissioni come i biocarburanti e l’idrogeno – rischia di risolversi nell’ennesimo salto nel buio. La situazione attuale, con un’Europa che fatica a disegnare una transizione ordinata e si è trovata legata a doppio filo alla Russia, dovrebbe insegnarci che l’ambizione è un ingrediente importante per cambiare le cose, ma anche un po’ di pragmatismo non guasta