editoriali
I limiti del price cap sul petrolio russo
La proposta del G7 può funzionare, ma ha bisogno anche di India e Cina
I ministri delle Finanze del G7 hanno annunciato l’accordo per l’introduzione di un price cap sul petrolio russo, nel tentativo di limitare – ma senza eliminare – le esportazioni di greggio, riducendo le risorse economiche con cui la Russia finanzia la sua guerra senza causare un aumento dei prezzi globali a causa di una carenza di offerta. La decisione deve essere attuata entro dicembre per mettersi in linea con l’embargo dell’Unione europea sul petrolio russo. Il livello del tetto non è stato ancora fissato. I membri del G7 affermano che per essere più efficace è necessario che il price cap venga supportato dai paesi che acquistano grandi quantità di greggio Ural, ma secondo alcuni analisti senza l’adesione di Cina, India e Turchia non avrà alcun impatto.
Tuttavia i funzionari statunitensi ritengono che una “coalizione ampia” darebbe anche alle nazioni che non vi aderiscono maggiore potere contrattuale per negoziare prezzi più bassi con Mosca. Il price cap del G7 offre agli altri paesi la possibilità di comprare petrolio russo continuando a ottenere i servizi commerciali fondamentali per il finanziamento e l’assicurazione delle petroliere, un mercato dominato da società britanniche ed europee.
Ed è qui che si presenta un problema: per implementare il price cap bisogna modificare il sesto round di sanzioni dell’Ue, che oltre all’embargo delle importazione negli stati membri include il divieto di fornire a paesi terzi servizi finanziari e assicurativi legati al commercio di petrolio russo. Come al solito serve l’unanimità, e l’Ungheria ha fatto capire che intende opporsi. Il vice primo ministro russo Alexander Novak, nei giorni scorsi ha detto che la Russia non venderà petrolio ai paesi che partecipano al price cap, ma molti lo considerano un bluff. Il petrolio è la principale fonte di finanziamento del bilancio russo e, al di là dei proclami, Mosca sta già accettando un price cap di fatto dall’India e dalla Cina, che da mesi comprano grandi quantità di petrolio russo solo a fronte di sconti del 30 per cento rispetto ai prezzi di mercato globali.