Giorgia Meloni e Maurizio Leo (LaPresse)  

Editoriali

Su Mps c'è la prima retromarcia di Meloni

Redazione

Prima del voto FdI frenava sulla ricapitalizzazione. Ma dopo il tonfo in Borsa, appoggia il percorso avviato dal governo Draghi

Profondo rosso a Piazza Affari per Montepaschi mentre si avvicina l’aumento di capitale da 2,5 miliardi. Tra lunedì e martedì, la banca avrebbe perso oltre il 50 per cento del suo valore se Borsa Italiana non fosse intervenuta  per sospendere il titolo e poi limitarne gli scambi in modo da frenare la speculazione. Tanto è bastato per spingere il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, a intervenire con un netto cambio di rotta rispetto alla posizione espressa in campagna elettorale.

 

Il responsabile economico, Maurizio Leo, ha detto all’agenzia Reuters che Mps “è in buone mani” e che il partito confida che l’amministratore delegato Luigi Lovaglio possa portare a termine la ricapitalizzazione. “Lui ha l’esperienza per riuscirci”, ha dichiarato sempre Leo, che però prima del voto aveva frenato proprio sull’aumento dicendo che sarebbe stato meglio attendere il nuovo governo. Insomma, una retromarcia completa.

  

Del resto, il momento che sta attraversando Mps è troppo delicato, anche una parola stonata da parte di chi si accinge a prendere le redini del governo – azionista di controllo della banca – potrebbe compromettere la buona riuscita dell’operazione, che non è priva di difficoltà considerati anche i tempi stretti. Il raggruppamento di azioni, manovra propedeutica all’aumento di capitale, si traduce in una sostanziale diluizione dei piccoli azionisti che prendono una sonora batosta in Borsa e chiedono alla Consob di intervenire. Ma non c’è altra strada per salvare l’istituto senese se non un’iniezione di capitale che, però, può avvenire solo a condizioni di mercato. Tali condizioni impongono che 900 milioni dei 2,5 miliardi da sottoscrivere siano a carico di investitori privati. Al momento questa quota risulterebbe coperta solo per metà. Così, mentre si moltiplicano incontri febbrili del Mef tra Milano e Londra per cercare altri soggetti interessati, Meloni sceglie non solo di non disturbare il manovratore ma di approvare il percorso impostato dal governo Draghi.