EDITORIALI
Si scrive Ita, si legge responsabilità
La reputazione di Meloni si gioca anche sui cieli. Arriva un nuovo presidente
Giorgia Meloni avrebbe fatto bene ad ascoltare Guido Crosetto il quale, di fronte alle impazienze nazionalizzatorie degli altri Fratelli (d’Italia), invitava a lasciare che fosse il governo Draghi, per quanto giunto agli sgoccioli, a chiudere la vicenda Ita Airways. Invece, siamo passati di pasticcio in pasticcio, stanziando altri 400 milioni di euro che potevano essere destinati ad altro, per esempio a mitigare il caro bollette.
Prima abbiamo visto il ribaltone interno al ministero dell’Economia, con la scelta del fondo Certares e la partnership solo commerciale di Air France (soluzione che avrebbe lasciato allo stato il 40% della nuova compagnia), poi la defenestrazione del presidente Alfredo Altavilla reo di aver sostenuto la cordata Mps-Lufthansa che avrebbe visto il colosso dei cargo e il gruppo tedesco azionisti di riferimento con una più piccola partecipazione del Tesoro.
Intanto, tra il coro di chi vuole una nuova compagnia “di bandiera” cioè di stato e chi è contrario anche all’interno di Fratelli d’Italia (per esempio il ministro delle imprese Adolfo Urso), l’ultimo colpo di scena con Giancarlo Giorgetti che riapre le porte a Msc-Lufthansa alternativa che il ministro dell’economia ha sempre preferito. Con la nomina di Antonino Turicchi alla presidenza, notizia anticipata ieri dal Foglio, la saga si avvierà a una conclusione? C’è da sperarlo nell’interesse dei contribuenti che continuano a pagare. Ma anche Meloni dovrebbe capire che con Ita si gioca molto, a cominciare dalla sua credibilità. Ci auguriamo che la scelta avvenga con un criterio industriale e non si riproduca di nuovo la campagna di Francia o che magari non cominci anche una campagna di Germania. Per far decollare Ita occorre un socio industriale, cioè una grande compagnia internazionale. Un criterio che vale anche per altri dossier bollenti come Mps e Ilva. Sull’altare di un ideologismo neo-statalista, la destra al governo rischia di aprire un altro fronte nella Ue, destabilizza aziende che essa stessa definisce strategiche, spreca denari che andrebbero destinati a contrastare la recessione, senza nemmeno avere idea di dove andare a parare.