editoriali
I pericolosi alibi del governo sul Pnrr
A Palazzo Chigi, più che cercare pretesti per il fallimento temuto, dovrebbero sforzarsi di trovare strumenti per portare a casa i risultati che tutti, almeno a parole, dicono di volere
A che punto è l’attuazione del Pnrr? Attorno a questa domanda si gioca, sotto traccia, una delle partite più complesse del governo Meloni. Da un lato, Mario Draghi ha lasciato un cronoprogramma di cui ha rispettato ogni scadenza. Dall’altro, si fa notare che molti adempimenti finora erano puramente formali: il bello inizia adesso, con l’impegno di assegnare appalti, realizzare opere e approvare riforme. E se tutti sono consapevoli degli effetti dell’inflazione – e dunque aperti a una revisione degli impegni – c’è un problema che la premier dovrebbe affrontare con urgenza.
La “messa a terra” dei lavori passa inevitabilmente per procedure barocche e amministrazioni non sempre adeguate. Certo, la riforma della Pa varata nella scorsa legislatura (e le conseguenti assunzioni) può essere un pezzo della risposta. Ma non ci sono scorciatoie: l’esecutivo deve dotarsi degli strumenti per sostenere, accompagnare e se necessario sostituire gli enti locali quando essi non sono in grado, o addirittura diventano un ostacolo, all’apertura dei cantieri. Una strada può essere quella proposta sul Sole 24 Ore da Carlo Altomonte, Fabrizio Pagani e Giovanni Valotti del Pnrr Lab presso la Sda Bocconi: costituire una cabina di regia per il monitoraggio dei tempi dei procedimenti, al fine da individuare tempestivamente eventuali criticità e affrontarle in tempo reale.
Al di là di alcuni grandi investimenti (per esempio nelle infrastrutture ferroviarie), gran parte del Pnrr presuppone interventi localizzati sul territorio e calati su realtà spesso molto diseguali, anche in termine di capacità amministrativa. Il rischio, dunque, è che gli investimenti si facciano dove i comuni sono capaci di accaparrarseli, ma non necessariamente dove sono più utili: un po’ come nella storiella dell’ubriaco che cerca le chiavi sotto il lampione solo perché c’è luce.
A Palazzo Chigi, più che cercare pretesti per il fallimento temuto, dovrebbero sforzarsi di trovare strumenti per portare a casa i risultati che tutti, almeno a parole, dicono di volere.