editoriali
Il dramma di Tesla non è Musk
Produrre in Cina è diventato un problema. Il valore dell’azienda è crollato
Il problema di Elon Musk non è Twitter, ma Tesla. E il problema di Tesla non è il suo eccentrico fondatore troppo concentrato a gestire un social network che non sa gestire, ma la Cina. Le azioni del colosso delle auto elettriche l’altro ieri sono crollate dell’11,4 per cento, dopo che la Reuters ha scoperto che la produzione nel mega impianto di Shanghai rallenterà ancora – con uno stop in coincidenza con le festività del Capodanno cinese a fine gennaio. L’impianto è vitale per far funzionare la catena di distribuzione della compagnia americana: i suoi ventimila dipendenti producono circa la metà delle Tesla in circolazione. Le aziende di Musk sono famose per le condizioni di lavoro non proprio ottimali, e la fabbrica di Tesla di Shanghai è finita spesso sui media internazionali perché ai suoi dipendenti veniva richiesto, soprattutto durante il periodo della politica Zero Covid cinese, di dormire in fabbrica.
Oggi il problema è opposto: le vacanze di Natale all’impianto di Shanghai sono iniziate con due giorni di anticipo per via dei troppi dipendenti ammalati. Ma la crisi del colosso delle auto elettriche viene da lontano: le azioni di Tesla hanno raggiunto il loro apice nel novembre del 2021. Poi è iniziata la crisi, dovuta anche alla catena di approvvigionamento di microchip e semiconduttori globali, ma anche alle norme sempre più confuse e repressive di Pechino nei confronti dei giganti (soprattutto americani) che producono in Cina. Il tradizionale “made in China” sui prodotti tecnologici sta impercettibilmente cambiando: diverse aziende americane stanno spostando la produzione fuori dal paese. Apple produce gli iPad e Microsoft le Xbox dal Vietnam, Amazon fa i suoi dispositivi a Chennai, in India. L’altro ieri, sul New York Times, l’economista premio Nobel Paul Krugman ha scritto: Tesla e i bitcoin hanno molto più in comune di quello che pensiamo.