Editoriali
Perché la direzione sul fisco del governo è corretta (e molto draghiana)
La giusta strada della riforma fiscale: è nei decreti delegati che si gioca la vera partita, con l'obiettivo di un'equità orizzontale. Un approccio che suona diverso dal solito e molto poco di destra
L’obiettivo massimo, dichiarato anche dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo, è arrivare a una riforma con la portata di quella adottata nel 1973, cioè dell’unico intervento coerente e complessivo sul fisco. C’è una ragione per cui questa potrebbe non essere una spacconata. E non bisogna guardare alle intenzioni generali della delega, ma alla sua attuazione. Perché è nei decreti delegati che si gioca la vera partita. Verranno distribuiti, come è logico, lungo due anni. Partendo dal ridisegno delle aliquote Irpef, con la discesa da 4 a 3 e la possibilità di lavorare ugli scaglioni, soprattutto con l’innalzamento della soglia di quello che prevede la no-tax area e di quello ad aliquota minima. Poi toccherà alle tax expenditures e ai regimi fiscali per le aziende, con l’Irap da eliminare e l’Ires da rimodulare. Il tutto mantenendo l’approccio cosiddetto duale del fisco italiano, con i redditi tipicamente assoggettati a Irpef e quelli tassati in altre forme.
L’obiettivo è arrivare all’equità orizzontale, cioè a una condizione di parità di trattamento tra uguali redditi a prescindere dal modo in cui sono realizzati. È un obiettivo politico che è difficile incasellare a destra, anche perché finora con le varie Flat tax e regimi forfetari il governo è andato in senso opposto. E non ha l’aria di destra neanche il proposito di ridurre l’apparato sanzionatorio delle irregolarità tributarie, trasformato in un repertorio di punizioni esemplari ma inapplicabili. Da una parte politica che di solito si distingue per l’invocazione di inasprimenti delle pene questo approccio suona diverso. Con buone possibilità, tra l’altro, che si facilitino adesione spontanea e riemersione. Il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, senza entrare nel merito delle decisioni, ha osservato che una delega approvata a inizio legislatura “è un buon segno della volontà di portarla a termine”. Per il governo, come si è visto dai toni di Giorgia Meloni davanti ai delegati della Cgil, è una carta da usare per accreditarsi anche fuori dall’area dei tradizionali sostenitori di destra.