editoriali
Conte capeggia gli “esodati del Superbonus”, ma sono un prodotto della sua legge
Il leader grillino partecipa alla manifestazione contro l'abolizione della misura e se la prende con il governo. Ma sul tema c'è molta confusione: è la vecchia legge che ha avuto come conseguenza quella di esaurire lo spazio fiscale
Oggi è andata in scena a Roma e a Genova una manifestazione di protesta contro l’abolizione del Superbonus (almeno per come lo conoscevamo) da parte degli autoproclamati “Esodati del Superbonus”, ovvero famiglie e imprese rimaste bloccate con i lavori o a rischio fallimento per la difficoltà a cedere il credito d’imposta. Alla testa del corteo, reggendo uno striscione con scritto “Truffati dallo stato”, c’era Giuseppe Conte che – sebbene abbia preso le distanze dagli insulti della piazza al governo Meloni – ha sposato le ragioni dei manifestanti. Sul tema c’è però molta confusione. Perché i cosiddetti “esodati” non sono il prodotto del decreto d’urgenza varato dal governo Meloni, bensì delle esagerazioni e delle distorsioni prodotte dalla norma voluta dallo stesso Conte.
Il decreto, infatti, blocca la cessione dei crediti per gli interventi futuri, ma non è retroattiva: chi li ha può continuare a cederli come prima. Il problema, in questo caso, non è legale ma economico: nel senso che le banche non acquistano più crediti non perché è cambiata la legge, ma perché non hanno più tasse da scaricare. La vecchia legge ha cioè consentito di produrre una mole talmente grande di crediti che le banche hanno esaurito lo spazio fiscale disponibile. Il governo dovrà trovare una soluzione, ma è scorretto attribuire a chi è arrivato ora le responsabilità di una situazione prodotta da chi reggeva lo striscione con scritto “Truffati dallo stato” (una sorta di autodenuncia). Se questa è però la leva politica per diluire il decreto ora all’esame del Parlamento, consentendo di nuovo la girandola di cessioni dei crediti che ha gonfiato il deficit, il governo Meloni deve essere consapevole che la norma è ancora sotto l’esame di Eurostat che dovrà definire la classificazione delle spese fiscali per il 2023, come “pagabili” o meno, entro metà anno. Anche correzioni marginali possono vanificare completamente l’obiettivo del decreto.