Editoriali
La competizione salverà l'ambiente. La svolta della mozione sul nucleare
La Camera ha approvato coi voti del centrodestra e del Terzo polo il doumento di maggioranza sull’energia atomica. È un importante segnale politico che ora dovrà essere seguito dalla creazione di un clima di credibilità
Una mozione non fa primavera nucleare ma obbliga il governo a uscire allo scoperto. Martedì la Camera ha approvato coi voti del centrodestra e del Terzo polo la mozione di maggioranza sul nucleare e, in parte, quella di contenuto analogo promossa da Azione e Italia viva. Di per sé, si tratta di un atto privo di conseguenze pratiche ma può avere un importante significato politico. Intanto, per la genesi del documento. Seppure timido nella scelta delle parole, esso è il frutto di un intenso lavoro parlamentare, che ha visto collaborare la viceministra dell’Ambiente, Vannia Gava, e i rappresentanti anche di parte dell’opposizione. Lo stesso ministro Gilberto Pichetto Fratin – che nel passato si era detto in attesa di un input del Parlamento – ha commentato: “Ci confronteremo ora con i partner europei e valuteremo, con la massima attenzione, come inserirlo nel mix energetico nazionale dei prossimi decenni”.
A questo punto, resta da capire in che modo si muoverà il governo. Se quella sul nucleare vuole essere una manovra reale, e non solo una distrazione comunicativa, ci sono alcuni step ineludibili. Il primo problema pratico è che non esiste alcuna procedura per l’individuazione dei siti e il rilascio delle autorizzazioni necessarie. Di conseguenza, il governo dovrebbe definire le norme specifiche e individuare i soggetti responsabili delle attività di monitoraggio e controllo. È evidente che, se si prende sul serio questa sfida, occorre costituire una Autorità di sicurezza nucleare che abbia caratteristiche di indipendenza sostanziale e che abbia adeguate dotazioni finanziarie e di staff. Costruire da zero il quadro normativo e regolatorio di riferimento non è una passeggiata né si può pensare di cavarsela con un decreto d’urgenza o qualche emendamento notturno. Al contrario, è essenziale la massima trasparenza. Per esempio, il ministero dell’Ambiente potrebbe farsi carico di redigere un libro verde, e porne i contenuti in consultazione pubblica in modo da acquisire elementi da parte dei soggetti – imprese, associazioni, esperti – che materialmente poi dovranno tradurre le ambizioni politiche in investimenti concreti.
In questa prospettiva, il governo deve evitare sia la tentazione della fretta, sia quella opposta del calcio alla lattina fino a che sarà troppo tardi. Il nucleare è una tecnologia complessa, caratterizzata da costi di investimento ingenti e da una lunga vita utile degli impianti. In un paese che per due volte ha varato un programma nucleare e per due volte l’ha terminato anzitempo, la fiducia degli investitori è per definizione sotto zero. Quindi è essenziale costruire un clima di credibilità nell’iniziativa. Pertanto, occorre promuovere una capillare campagna di comunicazione e informazione, in modo da “portare a bordo” l’opinione pubblica, spiegando che l’atomo può essere un tassello essenziale di una strategia realistica per arrivare alla neutralità carbonica nel 2050. Non è detto che lo sia: questo va, appunto, verificato e dimostrato, senza calare dall’alto verità autoreferenziali.
Prendere la questione sul serio e non muoversi in modo frettoloso e disordinato non significa necessariamente far calare il tema sotto la superficie del dibattito politico. Il governo ha, in effetti, un modo per aprire formalmente la discussione sul tema, facendo dell’atomo un’opzione concreta senza, contemporaneamente, esporsi a critiche o accuse strumentali. Proprio in questi giorni, il Mase ha aperto il dossier dell’aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima, il documento che deve tracciare la strada verso gli obiettivi europei al 2030. La precedente versione, redatta dal governo Conte alla fine del 2020, guardava al target di taglio delle emissioni del 40 per cento, che nel frattempo è stato alzato al 55 per cento. Ora, è evidente che parlare di nucleare entro il 2030 è del tutto irrealistico. Ma non è irrealistico calare il nucleare in una strategia di lungo termine, orientata al 2050 e oltre: e in questo senso la strada verso il 2030 deve necessariamente essere coordinata con una visione più profonda. Se il governo fa sul serio sul nucleare, ha un modo per dimostrarlo: tenerne conto, in modo esplicito, nel nuovo Pniec.