editoriali
Dalla Corte di giustizia europea un freno alle leggi pro taxi
L'organo giudiziario dell'Ue, chiamato a esprimersi su una norma introdotta dalla città metropolitana di Barcellona, sancisce che limitare le licenze non può essere un arbitrio
Proteggere il reddito dei tassisti sul mercato non è una buona ragione per restringere l’accesso di potenziali concorrenti. Lo ha stabilito la Corte di giustizia europea rispondendo al quesito di un giudice spagnolo, relativo a uno dei tanti casi pendenti sulla regolamentazione del trasporto pubblico non di linea. Tutto nasce da una causa avviata da Prestige & Limousine, una società di noleggio con conducente, contro le norme in vigore nella città metropolitana di Barcellona. Oltre alla licenza nazionale – senza la quale è impossibile l’esercizio della professione in tutto il paese – nella capitale della Catalogna possono lavorare soltanto i possessori di una seconda licenza locale, il cui numero complessivo è pari a un trentesimo delle licenze taxi nel medesimo territorio.
La Corte di giustizia, pur riconoscendo che gli stati o gli enti locali possono limitare il numero di operatori per ragioni di interesse generale (per esempio il controllo del traffico o la protezione dell’ambiente), ha stabilito che le pretese di Barcellona sono eccessive e sproporzionate. Da un lato, il loro scopo dichiarato è blindare il business dei tassisti, che non è ovviamente un obiettivo meritevole di tutela e anzi si pone in contrasto con le norme sulla concorrenza. Dall’altro, le specifiche modalità di rilascio delle autorizzazioni non possono duplicare i controlli già esistenti né devono avere carattere di discriminatorietà. Il principio enunciato dai giudici europei è forte, perché pone un freno sostanziale all’arbitrio dei poteri pubblici e presuppone che qualunque restrizione alla libertà economica sia adeguatamente motivata. Ma le sue conseguenze rischiano di essere deboli, proprio perché la Corte lascia la porta aperta a regolamentazioni anche severe, purché ben argomentate. Insomma: non è un “liberi tutti” per le auto pubbliche, ma è un richiamo contro l’atteggiamento opposto del “qui finisce la legge e cominciano i tassisti”.