Luigi Sbarra (Ansa)

L'intervento

Non sarà il  paternalismo aziendale a salvarci

Luigi Sbarra

La via è quella della partecipazione attiva del mondo del lavoro, attraverso le relazioni industriali. Le aziende che possono e vogliono dare di più, devono usare la contrattazione di secondo livello, facendo in modo che nessuno possa sottrarsi agli accordi nazionali. L'analisi del segretario Cisl

Talvolta la realtà  che si prova a raccontare è più articolata di quanto lo spazio di un articolo può contenere. Che si stia attraversando un periodo storico di difficile lettura riguardo l’andamento dei salari e del mercato del lavoro è un fatto indiscutibile. Che si possa risolvere la cosa leggendo una riga ogni tre, come si fa quando si deve andar veloci, un po’ meno. Ci sono dati che se non letti e ragionati insieme, rischiano di rendere superficiali giudizi che, invece, partono da analisi in buona misura corrette.

 

Un dato è incontrovertibile:  la pressione fiscale sul lavoro nel nostro paese è alta. Tanto quanto lo è il fatto che non è vero che sia la più alta d’Europa e che non è vero che nei paesi che hanno una pressione fiscale alta i salari siano più bassi e viceversa. E’ vero, invece, il contrario. Ciononostante, l’alleggerimento della pressione sui lavoratori dipendenti è necessario, urgente e sacrosanto, perché non si può continuare a chiedere solo a loro e ai pensionati di pagare i costi di uno stato sociale debilitato dall’evasione fiscale e dal peso degli oneri finanziari, causati da un debito immenso.

 

E dunque, in riferimento allo stimolante articolo sul Foglio del direttore Claudio Cerasa di qualche giorno fa, concordo che non possano essere le aziende a continuare a chiedere sconti, ma non sul fatto che gli sgravi non debbano esserci. E questo senza negare che il problema dei bassi salari non può essere risolto smettendo di pagare le tasse o i contributi. 

Ma perché accomunare genericamente i sindacati nel giudizio? La Cisl, come è noto, non si è mai sottratta dal confronto, neppure con il ricordato Sergio Marchionne, e quello di Stellantis continua non a caso a essere un contratto eccellente. Ma a fronte di aziende come, allora, Fca o, oggi, Intesa Sanpaolo, ce ne sono tante altre ben diverse, con diversi amministratori, diversa compagine sociale e diversa dimensione. 

Immaginare che un mercato in cui le “big”, dissociandosi dalle altre, dovessero decidere per conto proprio i trattamenti dei dipendenti, possa essere la soluzione del problema salariale, significa non tenere conto che il gruppo arriva sì e no al 5 per cento delle imprese esistenti, e in esse non arriva a lavorare il 50 per cento dei lavoratori. E, possiamo esserne certi, se non fossero state indirizzate dai contratti, difficilmente avrebbero maturato una coscienza vera del valore del lavoro al loro interno. Vorremmo forse pensare a un sistema in cui, nella migliore delle ipotesi, ben oltre la metà dei lavoratori resterebbe senza contratto nazionale? 

 

Io credo che l’analisi sul “pauperismo salariale” delle tante imprese che determinano i comportamenti delle associazioni sia corretta e che non si possa attendere che la soluzione al progressivo ridimensionamento del potere di acquisto dei lavoratori arrivi dallo stato. Ma il rimedio non è certo quello di scardinare il sistema contrattuale. Se così fosse non si tratterebbe di buttare il bambino con l’acqua sporca ma di buttare solo il primo e tenersi la seconda. 
Non è la via del “paternalismo” aziendale quella che ci porterà fuori dalle secche. Ma quella della partecipazione attiva del mondo del lavoro, attraverso le relazioni industriali.

Le aziende che possono e vogliono dare di più (molte  stanno registrando utili e profitti) , devono usare la contrattazione di secondo livello, che deve essere diffusa il più possibile anche a livello territoriale, e contemporaneamente si deve fare in modo che nessuno possa sottrarsi dall’applicazione di contratti nazionali buoni, rinnovati, coerenti con l’andamento dell’economia e del costo della vita. Almeno fin quando il sistema di imprese resta affetto da nanismo strutturale. Diversamente, sarebbe non solo la deriva per milioni di lavoratori, ma anche l’involuzione economica, con il deperimento di un motore generativo di crescita, redistribuzione e welfare che si chiama contrattazione collettiva.

Luigi Sbarra, segretario Generale Cisl

 

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